Drullios – Romanzo di Annamaria Ferrarese , Parte 8

DRULLIOS 8

Nel cielo azzurro privo di nubi, il sole era alto.

«Che ore saranno? Mezzogiorno?» chiese Luca mentre controllava il cellulare.

«Questa storia del tempo che scorre in maniera diversa, mi destabilizza più di qualsiasi altra cosa» ammise Alessandro, «Quando mi sono svegliato e sono venuto qui a controllare, saranno state le 11:00, 11:30. Quindi sarebbe passata solo un’ora da quando abbiamo varcato il cancello?»

«O un giorno…» ipotizzò Luca.

«È inutile stare qui a lambiccarsi il cervello. Non perdiamo altro tempo» decretò Mirco.

Il campo appariva come se fosse stato abbandonato da diversi giorni. Un sottile velo di polvere calcarea ricopriva ogni superficie.

«Prendiamo solo le cose più importanti: cibo, l’attrezzatura scientifica e l’acqua» consigliò Alessandro.

«Abbiamo una sorgente direttamente in “casa”, non serve caricarci di bottiglie.»

«Davvero, Luca? Tu berresti quell’acqua senza sapere da dove arriva la falda? Sono passati trecento anni, potrebbe essere inquinata» gli fece notare la ragazza.

«È possibile, prendiamone solo qualche bottiglia. Con l’attrezzatura non mi sarà difficile analizzarla, e se risultasse contaminata, scenderò io stesso a prenderne dell’altra.»

Nonostante avessero optato per lo stretto indispensabile furono costretti a fare due viaggi, ma finalmente avevano terminato e ora i loro bagagli erano sparsi disordinatamente nella sala comune. Ciò gli diede la sensazione di essere ritornati a casa, ed ebbero l’impellente necessità di riordinare ciò che avevano portato, mettendo ogni oggetto nella giusta posizione, come se l’avessero sempre avuta.

Senza pensarci, ognuno sistemò i propri attrezzi sul tavolo. Sistemarono i viveri sul tavolo grezzo della cucina, dopo aver tolto le lame che vi erano conficcate. Restavano i sacchi a pelo, che lasciarono arrotolati sul tappeto di fronte al caminetto.

«Credete che potremmo accendere un fuoco? Con la legna intendo» chiese Luca.

«Si potrebbe provare, ma credo sia saggio spegnerlo prima di dormire» consigliò Roberta.

Luca raggiunse la sorgente per prelevare un po’ d’acqua da analizzare, mentre Roberta faceva nuove ricerche, vista la nuova caratteristica del minerale.

«Senti Luca, se prelevassi del tessuto dalle capre, saresti in grado, con i tuoi reagenti, di individuare un possibile avvelenamento?» gli chiese Mirco.

«Ci posso provare» rispose, inserendo il vetrino con una goccia d’acqua sotto al microscopio.

«Ci penso io» intervenne Alessandro. Prese un piccolo astuccio e si avviò verso la stalla.

«Credi che siano stati avvelenati?» gli chiese la ragazza.

«È probabile, tranne chi governava questo posto. A lei è stata tagliata la gola.»

«Reina!» esclamò Roberta, «Adesso mi spiego l’incisione, su quella. Non è una poltrona, è un trono» disse indicandolo.

Mirco dispose sul tavolo il diario e diverse pergamene arrotolate.

«Guardate cosa ho trovato, sembra una piantina di queste grotte, con le annotazioni sui lavori da fare per poterla rendere abitabile. Credo che l’ingegno fosse tutto della ragazza allontanata dalla sua nobile famiglia. La sua spiccata intelligenza e la sua cultura l’hanno resa la “regina” di questa comunità.»

«È una scoperta straordinaria!» esclamò Roberta.

«Ogni planimetria è contrassegnata da una data, vedete?» disse mostrando altre due pergamene. « E guardate qui, so per cosa veniva utilizzato il pozzo sulla voragine. Credo che sia stato trovato per caso, durante i lavori, e l’ingegno della ragazza l’ha trasformato in qualcosa di utile: lo utilizzavano per smaltire i rifiuti.»

«Come fai a dirlo?» chiese Luca.

«Vedi questa parola, sul punto dove è segnato il pozzo?»

«Excremento» lesse.

«Esatto, significa escrementi, scarti»

«Era senza dubbio una donna straordinaria» ammise Roberta, «Continuo a chiedermi come abbia capito che questi minerali avessero questa straordinaria proprietà. Non l’ho capito io con tutta la mia esperienza, studi e tecnologia. Sicuramente sarà stato un caso, chissà.»

«Allora, per quanto abbia potuto analizzare quest’acqua, a parer mio è potabile» dichiarò Luca.

Mentre Alessandro rientrava con dei piccoli campioni di tessuto delle capre, chiuse in due scatolette di plastica cilindriche, Mirco si accomodava nel “trono” assorto nella lettura delle pagine di quell’antico diario.

«Ehi, guardate chi è venuta a trovarci» disse sorridendo Roberta, guardando verso il pavimento, in prossimità dell’ingresso.

Mamma prolago li aveva raggiunti, la bestiola aveva intuito che non avrebbe corso alcun rischio con loro. Fece due saltelli verso il tavolo, seguita da cinque batuffoli, che annusavano l’aria.

«Hanno delle orecchie incredibili. Dalle ricostruzioni si pensava fossero più piccole e ricoperte di pelo. Invece sono sproporzionate e glabre» riferì Alessandro.

Mamma prolago saltellò verso la zona della cucina seguita in fila indiana dai cuccioli che, per stare al passo, dovevano saltellare più veloci. Ogni volta che la madre si fermava ad annusare l’aria, i piccoli le si stringevano intorno. Sembrava avere fiutato qualcosa e saltellò svelta verso dei sacchi di canapa, ammassati sul pavimento. Si concentrò in un angolo del tessuto e iniziò a rosicchiarlo freneticamente.

«Ma che fai, piccolina? Non credo che li dentro ci sia qualcosa di commestibile» le disse sorridendo Alessandro, mentre la raggiungeva.

La bestiola insistette, fino a quando le fibre di una piccola porzione di tessuto cedettero. Infilò una zampina e tirò fuori delle piccole palline color senape, che rotolarono tutto intorno e che i piccoli presero d’assalto.

Alessandro era incredulo e si avvicinò cauto, per non spaventarli. Si chinò e allargò il buco nel tessuto, ne prese una manciata, mentre stupito si rendeva conto che si trattava di piselli secchi, perfettamente conservati.

Raggiunse i colleghi al tavolo e li fece rotolare sul ripiano.

«Ci credereste, dopo trecento anni?»

«Sai quanto me che è una cosa impossibile, vero?» gli rispose Luca prendendo tra le dita uno dei semi. Lo odorò, e se lo mise in bocca, «Non è possibile…» sussurrò. Poi si diresse verso lo scaffale della cucina e recuperò una conca in terracotta e si diresse verso la sorgente d’acqua. Tornò poco dopo, che l’aveva lavata e riempita per metà. Appoggiò il contenitore sul tavolo della cucina, si chinò a raccogliere diverse manciate di cereali e li mise a bagno. «Domani minestra di piselli!» esclamò ridendo.

«Che mangerai da solo» aggiunse Roberta. «Sono veramente stanca, credo che mi sdraierò un po’.»

Srotolò il sacco a pelo, chiese l’accendino a Mirco e diede fuoco ai due grossi minerali, messi al centro del caminetto. La canna fumaria tirava incredibilmente bene, aspirando i sottili fili di fumo nero che si sprigionarono durante l’accensione.

Restituì l’accendino, che il ragazzo prese senza sollevare gli occhi dalla pagina che stava traducendo. Roberta notò che cambiava spesso posizione. «Non dev’essere molto comoda mi pare» gli disse, sorridendo.

Mirco sollevò lo sguardo. «In effetti, non mi sento a mio agio, credo che ti imiterò.»

Mentre si sdraiava, la sua attenzione fu attratta dalla parte sottostante il sedile del trono. Infatti nella traversa anteriore, sembrava esserci uno sportelletto. Ma quando lo tirò, si rivelò essere un cassetto. Ben sistemati vi era una pipa e una sacchetta in morbida pelle, chiusa con un laccio di cuoio. L’aprì curioso di vedere se il tabacco si fosse conservato, come era stato per i piselli, ma al suo interno trovò una sottile polvere scura.

«Non credo sia buono da fumare» disse annusando il contenuto. «Non sembra neppure tabacco. Luca vuoi dargli un’occhiata?» gli disse lanciandogli la sacchetta che aveva richiuso.

Il ragazzo l’afferrò al volo. «Più tardi. Adesso voglio controllare gli altri sacchi.»

Ritornò poco dopo, dalla dispensa con una ciotola che conteneva fave, fagioli e grano. «È incredibile, anche questi legumi si sono conservati benissimo» disse mostrandoli agli altri, poi li buttò nell’acqua dove aveva messo i piselli.

«Sono proprio curioso di assaggiarli. Dovremmo prendere della legna, non credo che usassero i minerali per cucinare.»

Infatti nell’alto camino della cucina, si potevano ancora vedere i resi di legna carbonizzata.

«Vorresti cucinarli?» Chiese Alessandro.

«E perché no?»

Luca ritornò al tavolo, controllò i campioni di tessuto che Alessandro gli aveva procurato.

«Sembra non ci sia bisogno di reidratarli, evidentemente, l’acqua piovana e l’umidità hanno fatto tutto il lavoro.»

Si accinse a mettere alcuni frammenti di tessuto della capra, nei flaconcini con alcuni reagenti.

«Purtroppo ho veramente poca cosa a disposizione, ma vederemo.»

Nell’attesa che alcuni di loro agissero, Luca aprì la sacchetta che gli aveva dato Mirco.

«Dove l’hai trovata?» gli chiese, mentre scrutava incuriosito la polvere.

«Qui dentro con una pipa» rispose indicando il cassetto ancora aperto.

«Ragazzi, non vorrei sbagliarmi ma a me sembra il fungo fluorescente, polverizzato…»

Lo confrontò con ciò che gli era rimasto dalla prima volta che aveva cercato di portarne un campione fuori dalla grotta.

«Avevo ragione! Che fosse il loro tabacco?»

«Sarei curioso di provarlo…» disse Mirco.

«Non credo sia una buona idea» gli suggerì Roberta.

«Perché? Del resto, Luca lo ha analizzato e non ha trovato nulla di nocivo.»

«Non possiamo saperlo con certezza, lo sai» insistette lei.

«Potrei provarne una microscopica parte con la mia pipa e del tabacco, cosa potrà mai succedere? Del resto questa gente, ne faceva uso e non sono morti.»

«Ti sei guardato intorno? Qui ci sono dei cadaveri, nel caso non te ne fossi accorto. Se fosse stato quello la causa della loro dipartita?»

Mirco tacque, Roberta poteva avere ragione. L’uccisione della loro regina avrebbe potuto portarli a un suicidio di massa, non era certo la prima volta. Doveva leggere il diario per saperne di più. Abbandonò la conversazione, concentrandosi nella lettura.

Alessandro intanto si era messo a sedere accanto al sacco di piselli, dal quale mamma prolago continuava a far rotolare i semi sul pavimento per i suoi piccoli. Osservandoli da così vicino, poté notare come le dita delle zampe anteriori avessero una funzionalità prensile come per i topi, mentre le zampe posteriori erano più simili a quelle di una lepre. Raccolse un seme e tenendolo tra le dita lo offrì a uno dei cuccioli. Il piccolo lo annusò e cercò di prenderlo con la bocca, ma Alessandro strinse più forte. Allora provò ancora con le zampine, cercando di allargare i polpastrelli delle sue dita e contemporaneamente tirava il seme stringendolo tra i denti. Alessandro sorrise, la bestiola era caparbia, nonostante intorno a lui ci fossero diversi semi, lui voleva quello. Ad un tratto si fermò ed emise uno stridulo fischio dalla gola, molto simile a quelli emessi dagli scoiattoli. Sorprese tutti e si fermarono a guardarlo, sorridendo. Il richiamo altro non era che una richiesta d’aiuto, alla quale la madre rispose prontamente, raggiungendolo. Alessandro temette di ricevere un morso, ma rimase fermo ad osservare il loro comportamento. Mamma prolago, annusò spasmodicamente le dita e il seme, tastando nervosamente con le zampe, mentre il cucciolo rimaneva in attesa. Poi raccolse un altro seme con i denti e raggiunse il viso di Alessandro, allungandosi con gli arti inferiori. Il ragazzo era sbalordito, rimase immobile assecondando solo ciò che la femmina di quell’esemplare straordinario stava facendo, infatti gli spinse il seme tra le labbra, lo stava nutrendo. Gli offriva un seme per poter avere l’altro, e infatti tornò alle dita e riprovò a tirarlo via, questa volta Alessandro lasciò la presa, e mamma prolago poté accontentare il suo piccolo.

Alessandro rideva col seme tra gli incisivi.

«Per un attimo ho creduto che ti avrebbe morso» ammise Mirco.

«Incredibile, ragazzi, non avevo mai osservato un comportamento come questo. Ho temuto anche io di ricevere un bel morso.» Alessandro si alzò, sistemandosi anche lui sul tappeto, vicino al camino, annotava sul suo blocco, l’esperimento col prolago.

«Hai trovato qualche informazione su questo minerale?» chiese la ragazza a Mirco, che aveva ripreso la sua lettura.

«No, più che altro, queste pagine parlano di cose personali. C’era una donna che veniva a trovarla, portandole doni. Credo che fosse stata la sua “tata”, lei la definisce come l’unica che sia stata in grado di amarla. In alcune pagine la chiama “mamà Lucy”»

«Posso dare un’occhiata a questo?» chiese Roberta prendendo uno dei tomi, che Mirco si era messo accanto.

«Certo.»

Iniziò a sfogliarlo, le pagine odoravano di bosco. In diverse pagine erano stati cuciti dei rametti e delle foglie, con annotazioni scritte con la stessa calligrafia che aveva veduto sull’incisione della poltrona. Quel volume conteneva strani disegni e simboli, con diverse annotazioni, che non riuscì a tradurre.

«È spagnolo, vero?» chiese al ragazzo.

«Si, spagnolo antico, se vogliamo»

«Tu ci capisci qualcosa?»

«Non proprio tutto, considera che questo è un diario, il linguaggio usato è confidenziale. Più che altro ho una lettura d’insieme» rispose Mirco.

Roberta riprese a sfogliare, soffermandosi su un disegno.

«Dove hai detto di aver visto l’incantesimo della spirale?»

«In un libro nella biblioteca del convitto nazionale Vittorio Emanuele II°, nella sede storica di via Manno, perché?»

«Guarda questo disegno» gli disse, mostrandogli la pagina, e cambiando espressione.

«Ma è la spirale!» esclamò Mirco.

«E non ci vuole un genio a tradurre questa parola “Evocacion”. Significa evocazione, vero? Sei stato tu ad attirare le entità su di noi, con questa!» lo accusò lei.

«Aspetta un attimo, fammi vedere» le disse prendendole il libro dalle mani.

«Vedi qui? Parla anche di protezione. Lasciami capire, ho bisogno di tempo.»

«Credi davvero che sia così semplice evocare gli spiriti?» le chiese Alessandro, per rabbonirla.

«Stai parlando proprio tu?» rispose stizzita e si alzò.

«Dove vai?» le chiese Luca.

«Alla toilette, posso?» rispose lei mettendosi sulla difensiva.

«Scusa.» Luca sollevò le mani in segno di resa.

Era davvero possibile che Mirco, se pur involontariamente, avesse evocato delle entità? O semplicemente erano già li ad aspettarli? Con questi pensieri per la mente, Roberta raggiunse il piccolo ambiente, il gorgoglio dell’acqua che fuoriusciva dalla parete era rilassante e le fece venire in mente la sua vasca da bagno. Da quanto era che non faceva un bel bagno? Chissà in che modo si lavava la gente che aveva abitato quelle grotte. Doveva urinare e pensò a come fare, un quesito che trovò risposta in un secchio di rame impolverato. Mentre espletava i suoi bisogni, immaginava le donne di quella colonia misteriosa, compiere i suoi stessi gesti. Quando ebbe finito svuotò il secchio nella voragine, lo sciacquò e lo rimise al suo posto. Un’idea geniale, pensò. Ritornò nella sala, Mirco si era seduto al tavolo e traduceva la pagina del libro. Si rimise sdraiata infilandosi nel sacco a pelo, si addormentò cullata dal vibrare della fiamma arancione, nel caminetto.

Anche Alessandro crollò, con ancora la penna in mano.

«Per adesso nessuna reazione» disse Luca, controllando le provette. «Proverò a metterne un pezzetto nell’agar, e vediamo se una coltura microbiologica ci dice qualcosa. Poi me ne vado a dormire anche io.»

Mirco lo guardò, approvando le sue decisioni, distrattamente.

Quando sollevò la testa dal libro, massaggiandosi il collo, gli altri dormivano da un pezzo. Non era riuscito a capire granché, le informazioni di quella pagina sembravano contraddittorie, e non era più sicuro che si trattasse di un incantesimo. Era stanco, si alzò per sgranchirsi le gambe. Nel silenzio di quegli spazi abbandonati, ripensò agli esperimenti che stava facendo Luca sui tessuti delle capre. Se anche gli animali erano morti nello stesso momento in cui erano morte anche le persone, di certo non si trattava di un suicidio di massa. Lo sguardo gli cadde sulla sacchetta in pelle che conteneva il fungo polverizzato. Dubitava che lo avessero dato anche alle capre, quindi si trattava di una sostanza tollerabile dall’uomo. Spinto dalla forte curiosità, ne prelevò una microscopica parte, la mischiò ad un pizzico di tabacco e caricò la sua pipa.

Si allontanò dagli altri, mettendosi a sedere in uno dei letti che era appartenuto ad una delle guardie. I battiti cardiaci erano aumentati, l’angoscia per ciò che sarebbe potuto succedergli, stava prendendo il sopravvento. Senza perdere altro tempo accese la pipa con una profonda boccata, prima di perdere il coraggio di farlo. Non inspirò. Poteva sentire in bocca un sapore dolciastro, simile al miele. Tirò ancora e inspirò. Avvertì un leggero formicolio alla base della nuca, salirgli all’interno del cranio, fino ai bulbi oculari. Fece un altro tiro e chiuse gli occhi. La sensazione di formicolio si intensificò, trasmettendosi alle spalle e ai muscoli delle braccia. Non era male, il battito cardiaco diminuiva progressivamente e provava una piacevole rilassatezza. Prese un ultima boccata di fumo dolciastro e lo inspirò profondamente, restando in attesa di nuove sensazioni. Le parve di sentire un vociare lontano, aprì gli occhi, pensando che gli altri si fossero svegliati, ma vide che dormivano. Posò la pipa sulla cassa vicina e chiuse di nuovo gli occhi, concentrandosi meglio sul brusio che andava via, via crescendo. Erano voci quelle che udiva? Sentì piangere un neonato, e risa di bambini. Un suono ritmico faceva da sottofondo, proveniva dal telaio che aveva di fronte. Il chiacchiericcio divenne distinto. Avvertì un leggero movimento dell’aria e contemporaneamente udì la risata di un bambino, come se gli fosse appena corso davanti e aprì gli occhi. Rimase attonito, dinnanzi allo spettacolo che gli si presentò. Figure di donne e uomini incorporee vivevano quegli spazi, nella routine di ciò che erano stati i loro giorni. Vestivano panni di altri tempi e alcuni di loro erano scalzi. Vide i bambini, correre e giocare fra loro, schivando gli adulti affaccendati nei loro mestieri.

Si tratta dell’ottava parte del romanzo, ne seguiranno tante altre settimanalmente… Seguite per scoprire come andrà a finire.
Trovate l’autrice qui: Annamaria Ferrarese