Drullios – Romanzo di Annamaria Ferrarese

DRULLIOS

«Accidenti! È stato un gran colpo di fortuna essere stati scelti tra tanti studenti per questo viaggio di studio. Sai chi sono gli altri due?» chiese Luca al collega, mentre montava in auto.

«Un futuro geologo e un antropologo. Abbinamenti oculati, non trovi?»

«Sembra l’inizio di una barzelletta: Un botanico, uno zoologo, un geologo e un antropologo entrano in un bar…Chissà come andrà a finire.»

Alessandro mise in moto e partirono verso il campo base di Su Gorropu, un profondo canyon ubicato nel Supramonte Sardo.

Il grande sterrato, circostante la struttura che ospitava l’organizzazione per le gite nel canyon, aveva alcune Jeep parcheggiate, una moto e una Matiz tappezzata di adesivi. Uno dei responsabili attrezzava una delle vetture che avrebbe portato i ragazzi sul luogo di studio.

Parcheggiarono l’auto e scesero, una ragazza con una lunga treccia bionda, un poncho coloratissimo e jeans, gli si fece incontro.

«Ciao, siete i vincitori del viaggio?»

«Si, e tu saresti?» domandò Luca.

«Roberta, geologia» rispose allungando la mano per presentarsi.

«Quindi manca solo l’antropologo.»

«A dire il vero credo sia quel personaggio lassù, lo vedete? È arrampicato su quelle rocce» fece notare la ragazza indicando un punto lontano.

«Potrebbe essere, ma che diavolo ci fa li?» Dette queste parole Alessandro emise un energico fischio, che fu capace di attirare l’attenzione del presunto studente.

«Eccolo che arriva, ma come diavolo è vestito? Sembra un beduino!» esclamò la ragazza.

«Sarà uno studente straniero in erasmus…» ipotizzò Alessandro.

«Scusate,» li interruppe uno degli organizzatori, «il veicolo è pronto. L’attrezzatura da campeggio comprende: quattro elmetti protettivi, due tende, un fornelletto, diversi utensili e tegami, torce e batterie di ricambio, una lampada a gas e 6 confezioni d’acqua per un totale di 72 litri. Chi firma?» chiese porgendo una penna e un modulo su una cartelletta.

«Ci penso io» rispose Luca.

«Oh bene, due tende… Visto che voi siete evidentemente amici, credo che dovrò dividere la mia con il “beduino”» constatò Roberta.

«Magari sotto quel turbante e quella tunica si nasconde una ragazza, chissà.» Ma l’idea di Alessandro morì sul nascere quando una voce profonda e inequivocabilmente maschile, salutò. Il “beduino” li aveva raggiunti.

«Ciao, sono Mirco, studente di antropologia»

«Ciao, io sono Luca, botanica. Loro sono Alessandro, zoologia e Roberta…»

«Geologia, immagino», finì per lui Mirco. «Volevo comunque tranquillizzarti dicendoti che ho la mia tenda in auto» continuò rivolto a Roberta. Era chiaro che li aveva sentiti parlare di lui.

«Ne sono sollevata, niente di personale, ma non ti conosco nemmeno» rispose lei, nascondendo l’imbarazzo con un po’ di arroganza.

Mirco le sorrise. «Non preoccuparti, capisco benissimo. Neanche io ti conosco.»

Lo smacco emozionale, rivolto alla ragazza fece sorridere gli altri due, che rimasero ad osservare lo strano personaggio che si dirigeva verso la Matiz per prendere la sua attrezzatura. Intanto Roberta era avvampata, ma non disse nulla.

Finirono di attrezzare la Jeep, con i viveri e il materiale di ricerca e si misero in cammino. Luca alla guida, con accanto Roberta, sbirciava di tanto, in tanto, Mirco dallo specchietto retrovisore. Giunti nello sterrato, quasi all’imboccatura del canyon, scaricarono l’attrezzatura e dopo diversi viaggi iniziarono a montare il campo all’ingresso di una caverna, dove il pietrisco si era ormai sbriciolato riducendosi in sabbia calcarea.

Una volta sistemati rimasero a contemplare le alte pareti a strapiombo. Erano affascinati dalla potenza dell’erosione del fiume Flumineddu, che paziente e imperterrito era stato capace di scavare una delle gole più profonde d’Europa, e l’unica in Italia. Su Gorroppu vantava una specie erbacea, l’Aquilegia nuragica, capace di crescere esclusivamente in quel luogo, per non parlare del Taxus baccata e la Phillyrea latifolia, dell’età stimabile sui mille anni. Ma lo stupore più grande lo ebbero quando intercettarono una maestosa aquila reale raggiungere il nido abbarbicato in una delle pareti rocciose, era marzo inoltrato, con molta probabilità, si stava occupando di nutrire la sua compagna rimasta a covare le uova.

«È ancora presto, direi che possiamo dedicarci alla raccolta di qualche campione prima che faccia buio, siete d’accordo?» propose Alessandro.

Nessuno ebbe da ridire, e ognuno si dedicò alla propria attività, in religioso silenzio, quasi a non voler disturbare quell’antico luogo.

Distante dai colleghi Mirco armeggiava con dei sassi e pareva stesse costruendo qualcosa, tanto da attirare l’attenzione degli altri.

«Ma che sta combinando?» La domanda di Luca coinvolse tutti e lo raggiunsero per capire di cosa si stesse occupando.

Aveva disposto le pietre a spirale, in un cerchio del diametro di circa tre metri, iniziando dall’esterno con quelle più grosse, per finire con quelle interne a scalare. L’ultima al centro, non era più grande di un pugno, ma la cosa strana fu ciò che il ragazzo aveva disposto proprio su quella pietra. Da una piccola ciotola in ferro, saliva un filo di fumo da un pezzetto d’incenso e tutto intorno alla ciotola aveva disposto delle pietre di lapislazzuli e quarzo rosa, alternandoli. Quando Mirco percorse la spirale verso l’esterno per uscire dal cerchio Roberta sconcertata intervenne: «Ma che diavolo stai combinando?»

«Non si possono scavalcare le pietre, la spirale perderebbe il suo potere. Non conoscete le leggende legate a questo posto? Evidentemente no. Ma io sono qui proprio per rivivere le leggende dei nostri antenati. Ho un’idea a tal proposito e sarà l’argomento principale della mia tesi, se vi fa piacere ve ne parlerò a cena» propose.

«Sembra interessante, ti ascolterò con piacere» concordò Alessandro, mentre Luca e Roberta restarono diffidenti, anche se curiosi.

Ognuno tornò alle proprie faccende, fino al tramonto.

«Credo che andrò a dormire, sono molto stanca» annunciò Roberta, stiracchiandosi.

«Sai che non è salutare andare a dormire subito dopo mangiato, vero? E poi ti perderesti la storia di Mirco» le fece notare Alessandro.

«Non mi hanno mai appassionato le leggende, e comunque non è che la tenda abbia pareti spesse, lo sentirò comunque.»

Appena Roberta si fu ritirata Mirco prese dalla piccola tracolla, che teneva sotto la tunica, una pipa e una bustina di boccioli di marijuana. Caricata la pipa la accese con una profonda boccata e la porse ad Alessandro, che rifiutò ringraziandolo.

«Io un tiro lo faccio volentieri» disse Luca.

«Sono curioso, inizialmente abbiamo pensato fossi uno studente straniero venuto da noi in erasmus, ma è evidente che sei sardo, dunque perché questo particolare abbigliamento, passi la tunica ma anche il turbante…» volle sapere Alessandro.

«Questo interessa anche me» fece sapere Roberta, dalla tenda.

«Non è un turbante, ma un tagelmust il copricapo dei Tuareg. Ho passato sei mesi con loro nel deserto del Sahara. Una bellissima e ricca esperienza e mi sono affezionato al loro modo di vestire, niente di più.»

«Cosa rappresenta la spirale di sassi che hai fatto?» chiese Luca passandogli la pipa.

«È un dono per “Sa mama de su Gorroppu”»

«La mamma del Gorroppu? Mai sentito di questo personaggio, sapevo dei Drullios i demoni che si presentano durante i temporali, ma di una madre, nulla» disse Alessandro.

«In effetti si sa veramente poco su di lei e secondo le mie ricerche è strettamente legato ai demoni, che sono suoi figli. La spirale dovrebbe ingannare la “Madre” che attratta dai doni sulla pietra centrale, resterà imprigionata all’interno, evitando così che chiami i suoi figli con un temporale. Se funziona resteremo al sicuro.»

«Che scemenza!» esclamò Roberta dalla tenda.

Luca ridacchiò, mentre Alessandro pareva interessato al racconto di Mirco, «Fammi capire, cosa dovresti studiare durante questo ritiro.»

«Sarà l’argomento principale della mia tesi, ribadì. Rimasi affascinato da questo luogo, tanto tempo fa, quando facemmo un’escursione con la mia famiglia. Avevo appena undici anni, e avvertii una strana sensazione, ero sicuro che qualcuno ci osservasse dalle crepe, dalle grotte, dalle rocce più grandi. Sin da allora ho iniziato a fare ricerche, rivedendo a ritroso la storia del canyon, fino a quando i documenti me lo hanno permesso. Credo di aver finalmente finito.»

«Che cosa hai scoperto?» chiese Luca.

«Il canyon è stato rifugio per i banditi, che riuscivano a far perdere le loro tracce tra cunicoli e la vegetazione, ma circa un anno fa mi sono imbattuto in una cartelletta datata 1712, che conteneva un vecchio e logoro documento, da cui ho appreso che il canyon offriva rifugio anche a emarginati e storpi. Ho trovato anche una lettera indirizzata al vescovo Isidoro Masones y Nin, trasferitosi da Cagliari, nella sede arcivescovile di Ales nel 1711. Chi ha scritto la lettera era sicuramente una donna di nobili origini, vista la cultura e il fatto stesso di avere la capacità di leggere e scrivere, che a quei tempi non era da tutti.»

«Un documento davvero interessante Mirco, ma cosa diceva? Cosa aveva a che fare una nobil donna con un posto come questo?»

«La donna, di nome Dolores, il resto della firma era illeggibile, aveva avuto una figlia con una malformazione al labbro superiore, fu tenuta nascosta fino all’età di quindici anni, momento in cui si presentò nella sala principale durante un banchetto. Gli ospiti inorriditi misero in imbarazzo i suoi genitori, il padre indignato bandì sua figlia dalla propria casa. In alcune parti l’inchiostro si è talmente sbiadito che è stato difficile capire tutto, ma sembra che la ragazza fosse stata presa sotto l’ala di una “Bruxia”, un strega, che viveva nelle grotte del canyon con altri reietti, e iniziata alle arti oscure.»

«“Sa mama de su Gorroppu” era questa strega?» chiese Alessandro.

«No, credo che fosse la ragazza. A quanto pare fu violentata più volte e dai molteplici stupri, nacquero diversi figli. Molti morirono in tenera età, visto il luogo in cui vivevano, ma altri sopravvissero, almeno fino a quando Donna Dolores non ordinò la strage, per cui chiedeva perdono a Dio effettuando cospicue donazioni, di cui ho trovato l’elenco, al Vescovo Isidoro.»

«Ha fatto uccidere i suoi nipoti?» volle sapere Roberta, che si era appassionata alla storia, ma che restava oltre il nylon della tenda.

«Qui la storia si confonde con la leggenda, pare che in una notte tempestosa, Donna Dolores abbia assoldato dei briganti per uccidere sua figlia e la sua progenie dannata, questo perché la loro esistenza stava rovinando la reputazione del buon nome della famiglia. Prima di morire la ragazza lanciò un terribile anatema sul canyon, e la mattina successiva furono trovati tutti morti, compresi i briganti assoldati da Donna Dolores, come se una pestilenza si fosse abbattuta sulla misera comunità che occupava questo posto.»

Cadde il silenzio.

Si tratta della prima parte del romanzo, ne seguiranno tante altre settimanalmente… Seguite per scoprire come andrà a finire.
Trovate l’autrice qui: Annamaria Ferrarese