Drullios – Romanzo di Annamaria Ferrarese, Parte 6

DRULLIOS 6

«Che ne pensi di questa storia?» gli chiese.

«Dobbiamo proprio parlarne adesso?» domandò lui, mentre si avvicinava a baciarla.

«Dai, smettila, potrebbero sentirci.» Roberta si scostò di scatto.

«E allora? Mi piacerebbe stringermi a te nella tua tenda. Cosa ne pensi?» E di nuovo si sporse per baciarla.

«Basta, Ale, non mi sembra il caso. Possibile che per te tutta questa situazione sia normale?»

Alessandro sospirò. «No, per niente, ma non mi va di pensarci, tutto qui.»

«Forse hai ragione, con la luce del giorno tutto sembrerà più chiaro. Il buio della notte e questo posto, riescono a condizionare la mente nel modo sbagliato. Credo che andrò a dormire anche io.»

«Vengo con te?»

«È meglio di no, scusami.»

Dentro la tenda, sdraiato nel buio, Luca sorrideva compiaciuto.

Il mattino seguente Mirco fu l’ultimo ad alzarsi.

«Buon giorno dormiglione, è rimasto del caffè» lo salutò Alessandro, «Come vanno le ferite?»

«Non bene, bruciano da morire.»

«Dovresti fasciare le dita, per evitare che si infettino» gli consigliò Roberta.

«Forse lo farò.»

«Cosa pensi di fare riguardo al tuo villaggio?» chiese Luca.

«Non posso rinunciare. Hai visto anche tu, tutte quelle botti e le torce. Proverò l’altro tunnel e se anche quello si rivelerà un buco nell’acqua, informeremo l’università delle nuove scoperte.»

«Devo confessarti che sono molto curioso. Verrò con te, nonostante tutto.»

«Non vorrete andare ancora li dentro, vero?» Roberta era incredula, «Posso capire Mirco, ma tu?»

«Che ti devo dire… » rispose voltandole le spalle, mentre si avviava verso l’attrezzatura.

«Ehi, aspetta un attimo» lo fermò la ragazza.

«Che c’è?»

«Hai qualcosa sul collo» gli disse.

D’istinto Luca si passò la mano e avvertì sotto le dita uno strano ispessimento della pelle, che non ricordava di avere.

Roberta gli si avvicinò.

«È una cicatrice ed è identica a questa» gli disse mostrandogli la mezza luna sull’avambraccio.

«Sarà una coincidenza. Chissà quando mi sono ferito, sembra sia piuttosto vecchia, non provo alcun dolore, nel premerla» tagliò corto Luca.

Alessandro era intento a riportare il disegno del prolago su un blocco da disegno, ricopiandone le caratteristiche, immortalate nelle fotografie.

«Mi raccomando, fissate la fune in una crepa all’ingresso del tunnel, con l’ancora. Se entro due ore non sarete di ritorno, verrò a cercarvi. Resterò qui con Alessandro, e non è per quello che credi tu… quel posto mi fa paura» gli confidò.

«Tranquilla, contiamo su di te per un salvataggio di fortuna, se mai servirà.» Luca le sorrise e si allontanò verso il sentiero, con Mirco.

Quando fecero il loro ingresso nella caverna superiore, il prolago si affacciò dalla tana, forse speranzoso di recuperare un altro po’ di cibo senza dover abbandonare i suoi piccoli.

«Guarda, è proprio carino, non trovi?» disse Luca indicandolo.

«Si, è vero, spero solo non rosicchi la fune. Cercherò una fessura in alto per l’ancora.»

«Allora sei pronto?»

«Credevo di si, ma ora che sono qui dentro, non sono più sicuro» ammise.

«Teniamo d’occhio il tempo, potremo mettere una sveglia ogni mezz’ora, giusto per renderci conto.»

«Va bene.»

Una volta assicurata la fune si addentrarono verso nuove scoperte.

Intanto al campo, Alessandro finiva il suo disegno illustrato.

«Hai veramente talento» si congratulò la ragazza.

«Grazie. È rimasto qualcosa di fresco? Per esempio un pomodoro?»

«Si, anche una belga e qualche carota, della mia scorta personale. Perché?»

«Più tardi voglio offrirli al prolago, porterò anche una scatola di carne, sono curioso di vedere quali siano le sue preferenze» spiegò.

Nell’aria qualcosa stava cambiando. Per l’ennesima volta delle nuvole stavano ricoprendo il cielo e non promettevano nulla di buono. Presto si sarebbe scatenato un temporale.

«Credi dovremo avvisarli?» Si preoccupò Roberta.

«E come? Non mi va di raggiungerli in quel budello, e poi credo staranno più al sicuro di noi, li dentro.»

La sfumatura di menefreghismo, manifestata da Alessandro, non le piacque. Si allontanò verso la tenda, dove teneva la sua attrezzatura scientifica, voleva fare nuove analisi, per distrarsi da strane idee che iniziavano a passargli per la mente. Controllò il cellulare, le sembrava strano come il suo professore non le avesse ancora risposto, in merito alle foto che gli aveva mandato. Forse aveva di meglio da fare.

Le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere e Alessandro la raggiunse all’interno della grotta, dove avevano spostato il campo per ripararsi dal primo temporale. Sembrava fosse passata una vita, rifletté.

«Non ti pare che ci sia un buio eccessivo?»

«Sono le pareti del canyon che impediscono il passaggio della luce, se fossimo fuori di qui, non sarebbe così scuro» rispose lei.

La pioggia cessò.

«Approfitto di questa pausa divina, per allontanarmi un momento, cose personali. Starai bene da sola?»

«Vai tranquillo, me la caverò anche senza la tua protezione» rispose con un pizzico di sarcasmo.

«Tutto bene? Ho come la sensazione di averti fatto qualcosa, ma non so di cosa si tratti. L’atmosfera tra noi non è più la stessa di ieri, devi dirmi qualcosa?»

Roberta sapeva che qualcosa era cambiata. Non sapeva perché quel breve momento di magia creatasi, mentre aspettavano gli altri, si era come dissolta e non era da lei.

«Forse non sono pronta per andare oltre, come credo tu voglia.» Ma era una bugia. Non provava alcun interesse per lui.

Alessandro si allontanò e dopo aver trovato un posto abbastanza lontano dal campo, si chinò per espletare i suoi bisogni.

Sentì un rumore tra i cespugli ed un leggero ansimare, accelerò quel che stava facendo e si sollevò per poter scrutare meglio i dintorni. Il suo sguardo puntava troppo lontano, il pericolo era li davanti a lui, a meno di un metro di distanza. L’aria vibrava come se una fonte di aria calda distorcesse la visuale dei cespugli. Osservò con più attenzione i bordi sfumati della figura traballante, poi con orrore, mise a fuoco un volto dai lineamenti terrificanti. Non fece in tempo a emettere suono o a muovere un passo che l’entità densa si proiettò su di lui, invadendo il suo corpo.

Intanto Luca e Mirco avevano percorso una ventina di metri lungo il nuovo cunicolo. I supporti per le torce di legno si susseguivano ad intervalli regolari sulla parete, poi un nuovo ambiente si presentò ai loro occhi. Si ritrovarono in una grotta dove le pareti erano state squadrate, per creare una sala più lineare. Sul soffitto, vi erano delle crepe che salivano fino all’aperto, si poteva intravedere la luce se ci si metteva nella giusta posizione. Una parte della sala aveva

dei recinti fatti di pietre, impilate ordinatamente, all’interno dei quali giacevano delle pelli spelacchiate su scheletrici resti di capre.

«Sembra una stalla, povere bestie…» osservò Luca.

Su un basso scaffale in legno che si reggeva a malapena, viste le condizioni in cui si trovava, vi erano diversi attrezzi per la tosatura e alcuni secchi in rame accatastati sul pavimento.

«Guarda queste cesoie, è incredibile!» esclamò Mirco.

Si trattennero per fare alcune fotografie, quando le suonerie dei cellulari iniziarono a suonare quasi all’unisono, creando una cacofonia di melodie.

«Perfetto, direi che coi tempi ci siamo» constatò Luca.

Proseguirono verso il tunnel che ora andava di nuovo a restringersi.

In alcuni punti il soffitto si sollevava mostrando altre crepe che sfociavano verso l’esterno, creando un buon riciclo d’aria. Ad appena dieci metri dalla stalla, sulla destra e sulla sinistra del cunicolo si aprivano due piccole stanze, che davano l’idea di essere state scavate dall’uomo. All’interno di ognuna, diverse nicchie ospitavano fucili e pistole di altri tempi.

«L’armeria,» Mirco era estasiato, «o più probabilmente un avamposto di guardia.»

Sfiorarono quei cimeli in ferro e legno con estrema cautela, ammirandone la forgia e i decori sulle impugnature.

«Una collezione senza prezzo, sono straordinarie, Mirco. Anche se non dovessimo trovare il villaggio credo che questo sia sufficiente per un onorevole riconoscimento.»

Disposta in un angolo, una piccola botte traboccava di pallini di ferro arrugginiti. Da grossi chiodi puntellati alle pareti ciondolavano inermi, delle fiaschette in rame e piccole otri in pelle, per la polvere da sparo. A terminare l’arredo di quel piccolo ambiente vi erano de rudimentali sgabelli.

Dopo aver scattato altre fotografie, proseguirono il loro cammino. Non passò molto tempo perché un nuovo ritrovamento storico gli si presentò in fondo al tunnel.

«Guarda, sembra un cancello!» esclamò Luca.

«Dannazione, la fune sta finendo, ma non ho nessuna intenzione di fermarmi. Dovremo solo essere più prudenti.»

I cellulari scoccavano la nuova mezz’ora.

«Credi che basterà fino al cancello?»

«Credo di si, potremo agganciare il moschettone alle sbarre, sempre che non si sgretolino.»

Roberta era intenta nella catalogazione dell’ultima parte del materiale raccolto tra il guano di pipistrello, quando lo scricchiolio del pietrisco sulla soglia della caverna la fece girare.

Alessandro era li, in piedi che la fissava sorridente.

«Oh, sei tornato. Se ti serve la verdura la trovi li, in quella borsa frigo, attaccata al generatore.» Dopo averlo informato ritornò al suo lavoro. Trascorsero una manciata di minuti e Roberta si rese conto di non aver sentito i passi del ragazzo muoversi, così curiosa si voltò ancora una volta.

Quando lo vide fermo nello stesso posto, con lo stesso sorriso sulla faccia, ne fu allarmata.

«Tutto a posto?» chiese costringendosi a non scappare via, anche se tutto il suo corpo, le urlava di farlo.

Alessandro non rispose.

Lei fece finta di tornare ai suoi minerali, con tutti i sensi in allerta, ma non ci fu nessun movimento. Lo immaginava ancora li, con quel sorrisetto ebete sulla faccia, ma che intenzioni aveva? Forse averlo respinto aveva scatenato in lui chissà quale folle reazione. Con indifferenza, si alzò dal masso su cui era seduta. «Vado a prelevare qualche altro campione su alla grotta.»

Appena ebbe finito di parlare si sentì afferrare al collo. Le mani del ragazzo stringevano forte, non riusciva a respirare. Con tutte le sue forze cercò di scalciare all’indietro, mentre con le mani cercava di allargare la pressione delle dita sulla trachea. Quando stava per perdere i sensi si materializzò una figura che riconobbe immediatamente. Era la vecchia del sogno, ora che la vedeva bene poté notare la malformazione del labbro superiore, il suo viso era contratto dalla rabbia. Fissava Alessandro oltre la sua spalla, poi la sentì attraversarle il corpo e le mani del ragazzo lasciarono la presa. Cadde in terra tossendo, con gli occhi pieni di lacrime, ma riuscì a distinguere bene le due entità lasciare il corpo di Alessandro, che cadde svenuto sui sassi. La vecchia aveva artigliato al collo la creatura che aveva davanti, non si poteva dire umana, anche se ne aveva l’aspetto. La sua faccia era terrificante, un dipinto di dolore, le fauci spalancate in un urlo muto. Sentì un guaire sommesso, poi le due entità sparirono.

Lo schiacciamento subito dalla trachea era doloroso e le fu difficile riuscire ad avere un respiro costante, i colpi di tosse la aggredivano senza sosta, e mentre cercava di ossigenarsi avvertiva un sibilo dalla gola. Vedeva tra le lacrime il corpo inerme del ragazzo che poco prima l’aveva aggredita, giacere scomposto al suolo. La visione spiritica che aveva avuto la terrorizzava. Doveva calmarsi prima che Alessandro si potesse risvegliare.

Raggiunsero il cancello, proprio in quel punto il tunnel faceva una curva a gomito e l’inferriata era stata messa appena prima.

Sulla sinistra, oltre le sbarre arrugginite, il fascio delle torce illuminò parte di quella che sembrava una sala comune, con un grande tavolo al centro, completo di panche e due sedie a capo tavola.

La parete rocciosa di fronte ne impediva la visuale completa.

«Eccolo finalmente, non è mai stato trovato perché si trovava all’interno della montagna!» esclamò Mirco.

Fece per spingere il cancello, ma la ruggine lo aveva saldato tenacemente. «Luca dammi una mano.»

Ma nonostante ci mettessero tutta la forza di cui erano dotati, il cancello rimase al suo posto, senza nessun segno di cedimento.

«Merda!» esclamò frustrato, «Non possiamo entrare, maledizione!»

«Ci serve il piccone, solo così riusciremo ad abbatterlo. Dai, ormai è fatta» lo incoraggiò Luca.

Lasciarono il moschettone agganciato al ferro e ripercorsero a ritroso il tunnel. Mamma prolago li aspettava, sperando in un po’ di cibo, sembrava aver preso confidenza e non li temeva, anzi li seguì per buona parte della scala, ma poi la suoneria delle sveglie trillò, facendola scappare via.

Una volta all’aperto si resero conto che il tempo non combaciava. Avevano preso nota di un’ora e mezza, stando alla sveglia, ma all’esterno il sole già andava a nascondersi dietro la parete, era già pomeriggio. La prima reazione fu quella di controllare i cellulari.

«Questo è inspiegabile» disse Luca.

«Non è possibile, il digitale segna le 14:23. Il tuo?»

«Idem. È chiaro che il tempo passa a una velocità diversa quando siamo, qui dentro, ma tutto ciò è inverosimile.»

«No, non tornano i conti neppure così. Se ricordi bene per Roberta e Alessandro erano trascorse quasi quattro ore e per noi meno di un’ora, eppure anche loro erano dentro…» Mirco era pensieroso.

«Non prendermi per matto, ma io sono sempre più convinto che si tratti di qualcosa di anomalo, qualcosa che riguarda il mondo dei morti. Che altro sai di questi demoni, dei Drullios? Devi sapere di più, per esempio da dove hai preso le istruzioni per la spirale contro i demoni?»

«Ti assicuro che non so più di quel che vi ho raccontato. L’idea della spirale l’ho avuta, leggendo un vecchio libro di

magia, dove c’era anche qualche disegno che lo illustrava. Il bibliotecario lo spacciava per il “necronomicon” di un alchimista, l’ignoranza non ha confini. Comunque mi sembrava saggio, offrire qualcosa ai morti di questo luogo. È stato istintivo…»

«Raggiungiamo gli altri. Forse il tuo talismano sta funzionando. Si, è vero che stanno succedendo fatti inspiegabili, ma è anche vero che non ci hanno fatto del male.»

Quando raggiunsero il campo, la prima cosa che notarono fu il corpo di Alessandro, riverso tra le pietre.

«Ehi Ale, che ti succede amico! Dai svegliati!» Luca gli sollevò la testa mettendosela in grembo, mentre cercava di scrollarlo, chiese a Mirco di portargli dell’acqua.

«Ma dov’è Roberta?» Recuperò l’acqua e intanto chiamava a gran voce la ragazza, «Non risponde, vado a cercarla» gli disse mentre gli passava la bottiglia stappata.

Intanto Alessandro parve riprendersi, anche se non riusciva ad aprire gli occhi e si lamentava, come fosse intrappolato in un incubo.

«Tranquillo amico, sono qui» lo incoraggiava, stringendolo a se per infondergli sicurezza. Intanto seguiva con lo sguardo Mirco che cercava in ogni direzione la ragazza, urlando il suo nome.

«Non riesco a trovarla da nessuna parte, e inizio a preoccuparmi sul serio. Lui come sta?»

«Ogni tanto apre gli occhi, ma poi è come se si addormentasse. Mi ha sorriso… Ma cosa sta succedendo?»

«La macchina!» esclamò Mirco, schizzando via di corsa verso il parcheggio.

Lo sportello dell’autista era aperto, poteva vederlo anche da lontano. Corse più veloce e la trovò. Era come se stesse fuggendo da qualcosa, ma fosse morta prima di riuscire a salire in auto. Il cuore di Mirco parve fermarsi, la ragazza era in terra, e non si muoveva. Tremante le si avvicinò scostandole un ciuffo di capelli dorati, che le copriva parte del viso, notò i livore intorno al collo, il segno delle dita era nitido e spaventoso.

«Roberta… » La voce sembrava arrivare da lontano. Il nodo che gli stava stringendo la gola si sciolse, quando vide che respirava. Con delicatezza le sollevò il dorso, prendendola tra le braccia, e mentre le sussurrava di svegliarsi, piangeva.

Invisibile ai loro occhi, la demone, regina di quel luogo maledetto, li osservava, presto sarebbero stati suoi. Un tuono assordante spaccò il cielo e Roberta e Alessandro si ridestarono confusi e spaventati, tra le braccia dei loro amici.

«Piano, stai tranquilla. Riesci a dirmi cosa è successo?» le chiese dolcemente.

«Alessa…» nuovi colpi di tosse la fermarono. Aveva cercato di scappare, ma, incapace di riuscire a ossigenare bene i suoi polmoni e atterrita da ciò che aveva visto, aveva perso i sensi prima di riuscire a salire in auto.

«Luca è con lui, non affaticarti a parlare. Te la senti di camminare?»

Lei provò ad alzarsi e vedendo che ne era in grado, e il respiro affluiva libero nella trachea, asserì con il capo. Mirco l’aiutò ad alzarsi e lentamente raggiunsero il campo.

Quando Roberta vide Alessandro, tutto l’orrore vissuto le tornò in mente e fu come un violento pugno allo stomaco. Mirco avvertì il suo corpo irrigidirsi e iniziare a tremare, come scosso da brividi di freddo. Si fermarono a un paio di metri di distanza.

«Ehi Roby, tutto bene?»

«È stato lui» disse in un filo di voce, mentre si passava una mano sul collo.

Un lampo di odio passò nello sguardo di Mirco, Roberta lo notò e ne ebbe paura.

«Non è stata colpa sua» si affrettò ad aggiungere.

«Andiamo» non sembrava convinto.

Alessandro era seduto in terra, appoggiato ad una roccia, con il viso sconvolto.

«Cristo! Ma cosa hai sul collo?» chiese Luca allarmato.

Anche Alessandro la guardava sorpreso.

Roberta si mise seduta e chiese da bere. «Datemi un momento e vi spiegherò tutto» la voce non sembrava la sua, era fievole e si abbassava ad intervalli come per una forte raucedine.

I tre ragazzi attesero che si riprendesse, tutti erano in attesa del suo racconto che spiegasse l’accaduto. Fino a quando Mirco non si trattenne più. «Sei stato tu!» esclamò rivolto ad Alessandro che lo guardava stupito.

«Ma che cazzo stai dicendo? Mi ero allontanato e non so neppure come ho fatto a ritornare al campo!» Il suo primo sentimento di rabbia, si trasformò ben presto in angoscia.

«Lascialo stare, Mirco. Vi prego calmatevi. Dice la verità» li rabbonì la ragazza.

«Cosa è successo? l’ultima cosa che ricordo è che mi trovavo tra i cespugli, ho sentito uno strano respiro. Credo di aver visto qualcosa di orribile che mi guardava, e da quell’istante il buio totale.»

«Sei tornato da me…»

«E l’hai assalita, bastardo!» esclamò Mirco.

«Che cosa hai fatto?» gli chiese Luca incredulo.

«No, lasciatelo stare! C’era qualcosa dentro di lui, l’ho vista. Non so come spiegare, è talmente assurdo… Era come posseduto da un’entità malvagia, e non era l’unica. Ricordate la vecchia del mio sogno? Bene, non era un sogno. Lo spettro di quella donna mi ha aiutato.»

Calò il silenzio.

Alessandro scuoteva la testa, pareva smarrito. «Quella cosa… quella cosa che ho visto, è entrata dentro di me. Era orribile… quell’espressione di dolore che aveva sul volto…» tremava ed era impallidito.

«Quando l’entità è uscita dal tuo corpo sei svenuto. Ho avuto paura che potesse riaverti e ho cercato di scappare con l’auto. È evidente che non sono neppure riuscita a salirci, e ho perso i sensi.»

«Ormai è piuttosto chiaro, non siamo soli. È come ti dicevo, Mirco. Quelle entità, i Drullios, esistono. Altro che spore allucinogene, sono loro!»

«Dovremmo andare via» disse Alessandro.

«Abbiamo trovato il villaggio, ma è inaccessibile per via di un cancello. Forse se stiamo tutti insieme ci lasceranno in pace. Non ci è mai successo nulla quando stavamo insieme.» Mirco non poteva sapere che la regina, madre dei Drullios, ogni notte li cullava tra le sue putride braccia.

«È vero, ragazzi. Potrebbe esserci un tesoro inestimabile dietro quel cancello. Fermarci adesso sarebbe stupido. Mirco ha ragione, se stiamo insieme saremo al sicuro.»

Anche Luca voleva sapere cosa celava quell’antico ingresso

«Sono le 15:40, abbiamo si e no un’ora di luce, vogliamo avventurarci adesso? Sarebbe meglio aspettare domattina» propose Roberta.

«Non sono d’accordo. Voglio andarmene da qui. Apriamo quel dannato cancello, diamo uno sguardo e ce la filiamo oggi stesso.» L’idea di essere stato posseduto da un’entità, gli dava i brividi e ancor di più pensare che stava per strangolare Roberta.

Misero la decisione ai voti, ma solo Alessandro votò per concludere la loro avventura in serata. Gli altri erano tutti propensi ad attendere il mattino seguente, visto che avrebbero potuto correre il rischio di uscire dalla grotta in piena notte. Le entità giocavano col tempo, e questa era una certezza.

«E che succede se quella cosa mi dovesse rientrare dentro? No, ragazzi, io non ci sto. Vado via adesso.» Prese lo zaino dalla tenda, ci mise dentro l’album «Vi manderò indietro la macchina. Dammi le chiavi Roberta.»

«Non puoi lasciarci qui senza un mezzo, potrebbe succedere qualsiasi cosa.» Luca lo fermò, afferrandolo per il braccio. Alessandro si scrollò dalla presa. «Non potete costringermi a restare!» esclamò in sua difesa.

«È giusto, puoi decidere di fare quello che vuoi, ma a piedi. La macchina è un bene comune e non puoi deciderne solo tu.» Mirco fu categorico.

Alessandro era contrariato, ma l’idea di ritrovarsi al buio in quei sentieri, che tra l’altro non conosceva, non gli piaceva.

Mirco, si avvicinò a Roberta, per prenderle le chiavi, se Alessandro avesse voluto prendergliele se la sarebbe vista con lui.

«Io non ho le chiavi. Mi saranno cadute quando sono svenuta.»

Appresa la notizia, Alessandro scattò di corsa verso il parcheggio. Un primordiale istinto di sopravvivenza lo portò ad ignorare il parere degli altri. Se fosse riuscito a prendere le chiavi e a montare in auto, li avrebbe lasciati senza ripensamenti. Ma Mirco gli fu subito dietro. Lo raggiunse alla jeep, lo vide cercare freneticamente le chiavi sul suolo polveroso, poi saltò in auto e si chiuse dentro.

«Cazzo, Alessandro, dammi quelle fottute chiavi!» gli urlo, piazzato davanti al mezzo con le mani sul cofano.

Ma lui le chiavi non le aveva, non era riuscito a trovarle. Li all’interno dell’abitacolo, si sentiva più al sicuro.

«Vattene, Non le ho!»

«Non ci credo!»

«Ti dico che non le ho trovate, voglio solo stare qui dentro, Per favore vattene, voglio dormire qui.»

Mirco vide il viso terrorizzato del ragazzo ed ebbe la forte

sensazione che stesse dicendo la verità, così lentamente si scostò dall’auto. Le girò intorno, sempre tenendo sott’occhio i movimenti dell’altro. Poi finalmente le vide dietro la gomma anteriore. Si chinò a raccoglierle, le mise in tasca, diede un ultimo sguardo ad Alessandro e tornò al campo.

«Allora?» chiese Roberta.

«È chiuso in auto, ma non andrà da nessuna parte» disse mostrando le chiavi.

«Preparo qualcosa da mangiare. Luca, dovrai portargli il pasto tu, magari riuscirai a calmarlo. Io è bene che per oggi non lo veda più, e sarà meglio non lasciarlo da solo con Roberta. Sei d’accordo?»

«Tranquillo, ci penso io.»

«Sentite ragazzi, non mi sento di dormire da sola, stanotte. Penso che sarebbe meglio stringerci tutti in una tenda. Che ne dite?»

La ragazza non aveva torto, insieme sarebbero stati più forti, l’uno averebbe guardato le spalle dell’altro. Almeno così speravano.

Quando fu pronta la cena, Luca portò da mangiare al suo amico. Ogni tentativo di convincerlo a tornare al campo fu inutile. Lo lasciò sperando fosse al sicuro.

«Ditemi, cosa avete trovato lassù?» chiese con la speranza di distrarre i propri pensieri.

«Qualunque cosa ci sia in questo canyon, vale la pena rischiare, te lo assicuro. Mirco aveva ragione, quelle grotte contengono tesori inestimabili.»

«La prima cosa che abbiamo incontrato è stato un stalla, pensa che ci sono ancora i resti del bestiame, per non parlare dei cimeli. Cesoie antichissime per la tosatura, di varie dimensioni» le raccontò Mirco.

«Ma vedrai, l’armeria è uno spettacolo. La lavorazione del ferro e del legno di quelle armi, sono antichissime e di valore inestimabile, delle vere e proprie reliquie senza tempo.» Luca ne era entusiasta.

«Ma cosa vi fa pensare che al di là del cancello ci sia il villaggio?»

«Il mobilio. Purtroppo davanti al cancello c’è una parete, in quel tratto il tunnel fa una curva a gomito verso sinistra. Dalla nostra prospettiva si vedeva un grosso tavolo, con tanto di panche e sedie. Capisci la nostra smania di entrare? Quel luogo è rimasto sepolto per trecento anni.» rispose Mirco.

Rassettarono e spensero il fuoco.

«Andiamo a dormire. Domani sarà un gran giorno» disse Luca.

«Credete che Alessandro starà bene?» chiese Roberta.

Ma come risposta ricevette solo uno sguardo di circostanza. Il ragazzo era molto turbato e il fatto che avesse deciso di dormire in macchina era un chiaro segno di profondo stress. No, non stava bene.

L’entità, madre amorevole, scrutava la mente del suo nuovo figlio ribelle, addormentato nell’auto. Non avrebbe lasciato il canyon. Sarebbe rimasta con lui, dentro di lui fino a quando non lo avesse calmato.

Roberta fu svegliata dai rumori al di la della tenda, qualcuno rovistava tra le loro cose. Vide che Luca e Mirco erano ancora accanto a lei e dormivano, Alessandro era tornato. Il fatto di non poter vedere cosa stesse facendo, fece crescere in lei una certa ansia. E prima che la sua mente potesse costruire drammatiche ipotesi, svegliò i ragazzi. Dopo un primo sguardo confuso, misero a fuoco il probabile stato di allarme e Luca aprì la zip della tenda.

«Buongiorno, finalmente vi siete svegliati» li salutò Alessandro.

Il ragazzo aveva preparato il caffè e aveva disposto un pacco di brioche sul basso tavolino pieghevole, che utilizzavano come appoggio.

«Mi fa piacere vederti, amico.» Luca era sincero, il viso disteso di Alessandro gli fece capire che il momento di follia e panico era passato.

Uno alla volta i tre emersero dalla tenda.

«È per colpa mia che avete dormito tutti insieme?» chiese loro.

«Non solo» rispose onestamente Mirco. «Come ti senti?»

«Va meglio.» Poi vide i segni sul collo di Roberta e si rattristò. «Mi dispiace, io non so che dire…»

«Non preoccuparti, so che non è colpa tua» rispose lei abbassando gli occhi sul bicchiere del caffè.

«È incredibile come alla luce del giorno tutto sembri meno spaventoso» fece notare Alessandro, mentre l’espressione di tristezza si trasformava in gioia. «Ci ho riflettuto, verrò con voi a scoprire questo misterioso villaggio» aggiunse, aprendo il cellophane della brioche.

Il repentino cambiamento di emozioni non passò inosservato, ma il desiderio di scoprire il mondo dietro quel cancello arrugginito era diventato per tutti, quasi, un’esigenza.

«Posso prendere le verdure che mi avevi promesso?» chiese Alessandro alla ragazza.

Dopo aver avuto il suo consenso le mise nello zaino, aggiungendo altro scatolame e una bottiglia d’acqua.

«Non vorrai dare tutta quella roba alla bestiola, spero»

«No, stai tranquilla. Credo che, visti gli ultimi avvenimenti, portarci dietro qualcosa da mangiare non sia una cattiva idea» disse.

Si misero in marcia, Luca diede un’occhiata all’ora, il display segnava le 8:52. Anche se il tempo fosse andato veloce, ci sarebbe stata ancora luce, quando fossero usciti dalla grotta.

Al piano superiore mamma prolago li aspettava fuori dalla tana, dove cinque piccoli musetti facevano capolino, curiosi.

«Non è possibile, guardate, non hanno paura!» esclamò sorpreso Alessandro.

Prelevò la verdura dallo zaino e la dispose vicino alla tana, poi aprì una scatoletta di carne e la versò sul pavimento e rimase in attesa. L’animale odorò a lungo i vari cibi a disposizione, prese la carota e la trascinò verso i piccoli che d’istinto indietreggiarono spaventati.

«Io resterei, qui a osservare il loro comportamento, se per voi non è un problema» disse.

«Non è una buona idea. Come hai detto tu, “dopo gli ultimi avvenimenti”, è bene restare tutti insieme. La bestiola non andrà da nessuna parte, e potrai osservare le sue scelte al ritorno» rispose deciso Mirco.

Alessandro non rispose, ma li seguì all’interno del tunnel che presto li avrebbe portati alla stalla fantasma.

«C’è qualcosa di diverso, ma non riesco a capire cos’è. Tu noti qualcosa Mirco?»

«No, ma ho la tua stessa sensazione.»

«Povere bestie, sono morte di fame imprigionate nel loro recinto. Certo che costruire un ovile qui dentro…» constatò Roberta.

«Non si tratta di un ovile, ci sono delle capre, quindi si tratta di un caprile» puntualizzò Alessandro.

Proseguirono fino all’armeria, la sensazione che qualcosa fosse cambiato, fu avvertita da Luca e Mirco, anche in quell’ambiente.

La magia del mistero di quei luoghi, intanto riempiva di stupore l’anima dei nuovi spettatori.

Finalmente giunsero al cancello.

«Ricordavo ci fosse più ruggine… » disse Mirco mentre toccava il ferro sul quale avevano agganciato il moschettone della corda.

«Ecco cosa c’è di diverso, sembra tutto, come dire, meno vecchio» disse Luca, quasi fra sé e sé.

Alessandro e Roberta osservavano estasiati, l’ambiente oltre il cancello.

«Fatevi da parte.» Mirco sollevò il piccone schiantandolo sul blocco di chiusura del cancello.

Il contatto provocò qualche scintilla e un suono acuto, creando un piccolo avvallamento nel ferro.

«Di questo passo ci vorrà un’eternità» disse Mirco, rendendosi conto che l’attrezzatura di cui disponevano non era adatta al loro intento.

«Quanto darei per una smerigliatrice!» esclamò Luca.

«E se provassimo con quella?» domandò Roberta, puntando il dito verso la parete opposta all’apertura.

«Che mi venga un colpo! Eravamo talmente attratti dall’ambiente, che non ci siamo accorti di quella» ammise Mirco.

Ad un gancio nella roccia era appesa una grossa chiave con la testa lavorata.

«Dobbiamo prenderla!» esclamò Alessandro.

«E come? Pensi che basti chiamarla e correrà da noi?» rispose Luca, sarcastico.

«Spiritoso. Potremmo provare ad arrivarci con la canna di uno dei moschetti nell’armeria.»

L’idea di Alessandro sollevò il loro spirito. Recuperarono l’arma, scegliendone una tra quelle con la canna più lunga e provarono a raggiungere la chiave. Nonostante gli sforzi, la sua lunghezza non fu sufficiente a raggiungerla.

«Accidenti!» esclamò frustrato Luca, ritirando il braccio dalle inferriate.

«Avanti ragazzi, ci basterà recuperare un ramo sufficientemente lungo da raggiungere la parete.» li canzonò Roberta.

«E va bene, abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno. Si dice così, no? Torniamo indietro e apriamo questo maledetto cancello!» esclamò Mirco.

Ripercorsero per l’ennesima volta il tunnel a ritroso, il prolago aveva portato tutte le verdure all’interno della tana e ora annusava incerta la carne gelatinosa. Ridiscesero le scale, il fungo nella parete emanava il suo bagliore magico, diffondendo una tenue luce azzurrognola. Giunti alla grotta dei pipistrelli, rimasero sgomenti. Fuori era scuro ed echeggiava il rombo di tuoni minacciosi.

«Non ci voleva. Facciamo presto, prima che scoppi il temporale» disse Luca.

Ma li intorno vi erano solo rocce e piccoli alberelli di filiera. Sarebbero dovuti scendere.

«Direi che ci conviene recuperare un’asticella di una delle tende, sarebbe abbastanza lunga e flessibile, senza stare a perdere tempo con la ricerca del ramo giusto.»

L’idea di Alessandro non era male, veloce e senza perdite di tempo inutili.

Raggiunsero il campo, l’orologio sul cellulare segnava le 13:45, il tempo era ancora sfuggito al loro controllo. Recuperarono la stecca in fibra di vetro richiudendola su se stessa.

«Forse sarebbe opportuno prendere altre provviste, nel caso rimanessimo bloccati dal temporale.»

«Luca ha ragione, quello che ho preso io non basterà a sfamarci tutti» li informò Alessandro.

Intanto lo squarcio di cielo sul canyon si faceva sempre più scuro, le basse nuvole nere sembrava creassero un coperchio sopra di loro.

Ognuno prese con se del cibo e una bottiglia d’acqua e insieme ritornarono sui propri passi.

«Non sentite uno strano odore?» chiese Roberta, quando ebbero raggiunto il fatiscente caprile.

I ragazzi annusarono l’aria.

«Si hai ragione.» Alessandro continuò ad annusare fino a giungere nel recinto di pietra dove giacevano le carcasse delle capre. «Sembra che provenga da queste» disse.

«Forse il vento è cambiato e non c’è più un buon riciclo d’aria» suppose Roberta.

«Possibile che dopo trecento anni, abbiano ancora odore di putrefazione?» La domanda di Alessandro rimase senza risposta.

Emozionati, davanti al cancello attesero che Mirco ricomponesse l’asta. La fece passare attraverso le sbarre, si sporse leggermente col braccio e con scrupolosa attenzione, infilò la punta nell’anello della chiave. Era pesante e inizialmente l’asta si fletté senza sollevarla.

«Mettici più forza» suggerì Luca.

«Ho paura di farla schizzare via, chissà dove finirebbe» si giustificò Mirco, ma l’amico aveva ragione e la sollevò con più decisione.

La chiave si staccò dal gancio, Mirco impennò l’asta facendola scivolare fino alla mano.

«È fatta!» Esclamò afferrandola con l’altra mano e liberandola dall’asta.

Mirco infilò la chiave nella toppa della serratura. «Ci siamo ragazzi…» Ma non riuscì a girarla né da una parte, né dall’altra. «C’era da aspettarselo…» sospirò.

«Forse io ho una soluzione» disse Roberta, mentre apriva il suo zaino.

I ragazzi la guardavano incuriositi, e la videro prendere una piccola bottiglia con il tappo a chiusura ermetica.

«Questo può essere utile?» domandò mostrando il contenuto.

«Ma è olio?» chiese Luca.

«Si.»

«Non credo servirà a molto, ma che abbiamo da perdere?» Mirco prese la bottiglia. «Non è che per caso hai anche una cannuccia? Come facciamo a far entrare l’olio in questo “blocco” di ruggine?»

«Usiamo una delle fiaschette per la polvere da sparo.»

«Luca sei un genio!» esclamò Mirco.

Davanti alle piccole stanze dell’armeria i ragazzi si divisero. «Cercatene una in pelle e con un beccuccio abbastanza lungo, che non si sgretoli tra le mani. Non so in che condizioni sia la polvere da sparo al loro interno, quindi se ne recuperate una vuota, sarebbe meglio.»

Date le indicazioni, Mirco si infilò con Roberta nella stanza alla loro destra.

«È incredibile, sono ancora piene, ma il contenuto sembra pietrificato» disse Roberta tastando una delle otri.

«È un peccato, fosse stata ancora buona l’avremmo potuta usare per far detonare la serratura.»

Tutte le otri erano piene, così come le fiaschette. Si riunirono nel tunnel, Luca aveva portato con se una delle otri con un beccuccio abbastanza lungo e leggermente ricurvo.

«Mi dispiace rovinare un tale cimelio, ma a mali estremi…» così dicendo trasse di tasca un coltello multi uso, si sedette in terra ed iniziò a tagliare la pelle della sacca. All’interno la polvere da sparo aveva preso la sua forma, Luca fece un taglio tale da poter estrarre il piccolo mattone nero.

«Adesso possiamo agire» disse sorridendo.

Mirco riempì l’otre con l’olio, tenendo il taglio verso l’alto, infilò il beccuccio, che aveva iniziato a gocciolare, all’interno della serratura e spremette.

«Adesso?» domandò Roberta.

Mirco reinserì la chiave, facendola vibrare all’interno e muovendola da una parte all’altra, con la speranza che l’olio raggiungesse ogni parte di quella rudimentale serratura.

«Non c’è modo, è inchiodata» sbraitò.

«Aspettiamo qualche minuto» propose Alessandro.

Intanto l’odore di putrefazione che proveniva dalla stalla iniziava ad appestare l’aria. Roberta propose di attendere fuori dal tunnel. Fuori aveva iniziato a piovere lo poterono notare dal fatto che, dalle fessure sul soffitto, gocciolasse dell’acqua.

Mamma prolago non aveva toccato la carne e si era rintanata con i suoi piccoli, probabilmente spaventata dai tuoni.

«Accidenti, piove parecchio. Quanto credi dovremmo aspettare prima che l’olio riesca a penetrare nell’ingranaggio?» Chiese Luca.

«Non credo funzionerà. Aspettiamo qualche minuto e ci riprovo, dopo di ché, non ci rimane altro da fare che avvisare l’università e ci penseranno loro» rispose Mirco, deluso.

Luca guardò l’ora sul cellulare.

«Credi abbia qualche significato guardare che ore sono? Qui dentro non ha alcun senso» gli fece notare Alessandro.

«Forse è solo l’abitudine» rispose, «Giusto per informarvi, sono le 18:00.»

«Dovremmo dormire qui?» chiese Roberta, preoccupata.

«Non è saggio, discendere il dirupo con questa pioggia e al buio. Vedrai staremo bene» cercò di rincuorarla Mirco.

Si misero seduti e consumarono, una piccola parte del cibo che avevano portato, più che altro per passare il tempo.

Luca continuava a fissare il cellulare, pensieroso.

«Qualcosa non va?» gli chiese Alessandro.

«Qualcuno di voi, da quando siamo qui, ha messo in carica il cellulare?» chiese agli altri.

Uno sguardo di smarrimento passò negli occhi dei ragazzi.

«Non io, eppure avrei dovuto. La batteria non è mai durata più di un giorno» ammise Roberta. «Pensi a qualche misterioso campo energetico che tiene in carica le batterie dei nostri cellulari?»

«Non solo di quelli. Se ci pensate, non abbiamo cambiato neppure quelle delle torce.»

«Questo posto è un enigma. Entità, campi energetici, creature sconosciute, animali estinti… E se si trattasse di un buco temporale?» ipotizzò Alessandro.

«Intendi dire, un portale nel tempo?» Mirco ne era affascinato.

«Si, una cosa del genere. Cosa ne pensate?»

«E quelle entità che ti sono entrate dentro, cosa sarebbero?» gli chiese Roberta, «Non eri neppure qui dentro. Per me questo posto ha a che fare col regno dei morti» concluse la ragazza.

Mentre l’angoscia, si affacciava ancora una volta nel loro cuore, uno strano torpore li avvolse. Uno dopo l’altro, si lasciarono scivolare nell’abbraccio rassicurante dell’oblio del sonno.

Il primo a svegliarsi fu Alessandro, avvertendo qualcosa di morbido e caldo, muoversi nell’incavo del suo collo. Aprì gli occhi era sdraiato supino, sul pavimento dell’antro. Mamma prolago e i suoi cuccioli, avevano approfittato del suo calore corporeo e gli si erano accucciati accanto. Sorrise.

«Ciao piccolini» sussurrò per non spaventarli, ma non funzionò, gli animaletti saltellarono via nascondendosi nella loro tana.

Si mise a sedere, si sentiva indolenzito e infreddolito. Stava per guardare l’ora sul cellulare, quando pensò all’inutilità del suo gesto. Il temporale sembrava passato, quanto aveva dormito? Decise di alzarsi, forse non avrebbe mai saputo l’ora esatta, ma quanto meno, se fosse uscito fuori, avrebbe saputo se fosse stata ancora notte.

Luca si svegliò di soprassalto, il braccio destro gli mandava fitte come se fosse avvolto da mille spine. Se lo massaggiò vigorosamente, mentre lentamente riacquistava la sensibilità. Notò immediatamente l’assenza di Alessandro e preoccupato svegliò gli altri.

Alessandro sbucò contemporaneamente dalla rampa di scale e notò subito l’apprensione nei loro occhi.

Si tratta della sesta parte del romanzo, ne seguiranno tante altre settimanalmente… Seguite per scoprire come andrà a finire.
Trovate l’autrice qui: Annamaria Ferrarese