Drullios – Romanzo di Annamaria Ferrarese Parte 3

DRULLIOS 3

«Cristo Santo! Che schifo!» esclamò Roberta catapultandosi fuori dalla tenda.

«Che succede?» chiese qualcuno, mentre aprivano le zip della loro tenda.

Roberta era terrorizzata e continuava a passarsi i palmi delle mani sul viso come a volersi levare dalla faccia qualcosa di repellente, «Nella tenda c’è una donna schifosa, mi stava leccando la faccia! Oh Dio, oh Dio, che schifo.» Tremava e si puliva spasmodicamente il viso.

Mirco fu il primo a raggiungere la tenda della ragazza e guardingo sollevò un lembo dell’ingresso, per guardarci dentro.

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«Ma che dici, qui non c’è nessuno» la tranquillizzò.

«Dai calmati, è stato solo un brutto sogno» le disse fraterno Luca, mentre la stava per cingere con il braccio per rassicurarla, ma lei si scansò incredula.

Raggiunse la propria tenda chinandosi accanto a Mirco. Quando vide che era vuota si lasciò andare ad un pianto nervoso. «Era reale, vi giuro… mi ha svegliato la sua lunga lingua sulla guancia. Ho davanti ancora quel viso grinzoso, i suoi occhi grigi e acquosi mi guardavano mentre mi sorrideva con quei denti marci…» rabbrividì.

Mirco entrò nella tenda, «Guarda è tutto ok, cerca di calmarti.»

Tirò dentro il sacco a pelo della ragazza che nella fuga aveva tirato fuori, e lo rimise al suo posto, fu allora che si accorse di uno dei quarzi che aveva disposto nella spirale. Il minerale giaceva sulla plastica azzurra, accanto allo zaino.

«E questo? Mi avevi detto che non li avevi presi tu» volle sapere Mirco, mentre le mostrava il piccolo quarzo nella mano.

Roberta glielo prese e dopo averlo guardato per un istante si rivolse, ancora più spaventata al ragazzo.

«Non sono stata io! Non mi sono mai avvicinata alla tua spirale, se non quando eravamo tutti insieme.»

«E allora che ci fa nella tua tenda?» le chiese, ma senza aggredirla, era chiaro che la ragazza fosse realmente turbata.

«Io… non lo so» dichiarò.

«Ci sarà pure una spiegazione logica, non facciamoci prendere da irrazionalità pericolose. Preparo il caffè, vedrete che poi staremo meglio» disse Alessandro cercando di smorzare l’aria tesa del momento, con qualcosa di normale.

«Sei cosciente che non poteva esserci nessuno? Non avrebbe avuto il tempo di scappare, noi siamo usciti appena hai gridato. Se ci fosse stato qualcuno, lo avremmo visto, non ti pare?» Chiese Luca, rivolto a Roberta, che cercava di ricomporsi asciugandosi il viso dalle lacrime.

«Si, avete ragione. Non può essere stato che un brutto, bruttissimo sogno» ammise.

«E a proposito di sogni, non sono stati belli neppure i miei. Non ricordo esattamente quali fossero, ma ho ancora una strana sensazione di inquietudine addosso» rivelò Luca.

«Io ho dormito come un bambino» affermò Alessandro.

«Saranno stati i discorsi, sul villaggio fantasma, di ieri notte» ipotizzò Mirco, senza svelare che anche lui aveva avuto un terribile incubo che li vedeva tutti morti. Non voleva creare ulteriore ansia, per un stupido sogno.

Ben presto la caffettiera sul fornelletto iniziò a brontolare e l’aria si riempì dell’aroma rassicurante della bevanda.

Mirco aiutò Alessandro a passare i bicchieri di plastica con il caffè agli altri, poi uscirono insieme dalla grotta a godere del tepore del sole di quel nuovo giorno.

«Avanti ragazzi, non facciamoci condizionare dalle brutte esperienze di ieri. È una giornata stupenda» esordì Mirco.

«In effetti questa avventura non ha avuto un buon inizio,la giornata di ieri è stata abbastanza inconsueta, direi» proseguì Alessandro.

«Sono d’accordo, oggi è un altro giorno e abbiamo un percorso da trovare. Ogni promessa è debito! » esclamò Luca con rinnovato ottimismo.

«Ragazzi vorrei venire con voi. Non mi sento di restare da sola, sarà anche un nuovo giorno, ma io sono ancora scossa.»

«Ma certo» acconsentì Mirco.

«Piuttosto, ci fidiamo a lasciare il campo incustodito?»

La preoccupazione di Luca era fondata, gli intrusi del giorno prima sarebbero potuti tornare.

«Possiamo lasciare un cellulare con la telecamera accesa, che controlleremo ogni tanto» propose Alessandro, «Potremo nasconderlo qui tra queste due pietre e camuffarlo con qualche ramo di ginepro.»

«In effetti non è una cattiva idea e da questo punto si riprendono bene tutte le tende»

Si trovarono d’accordo e dopo aver sistemato il cellulare si avviarono verso il nuovo presunto sentiero.

Trovare il principio non si rivelò difficile, visto che si trovava giusto tra due pareti che creavano una crepa, come un profondo calanco, ancora presente nella roccia calcarea. Di certo adesso sarà stata più larga rispetto al periodo in cui era stato disegnata la mappa, ma con certezza si trattava dello stesso posto.

Salirono arrampicandosi per il sentiero, che risultò piuttosto impervio e pieno di ostacoli, nel tempo, nuovi arbusti e frane avevano cambiato il paesaggio. Arrivati a circa un terzo del percorso, si resero conto di avere dinnanzi una enorme frana che ostruiva totalmente il passaggio.

«Accidenti, non ci voleva!» esclamò pieno di sconforto Mirco, «Per di più non sarà possibile neppure raggirarlo,le pareti sono troppo ripide…»

«Qualcosa non torna, guardate bene, anche se non ci fossero questi detriti, non avremmo potuto proseguire, la crepa è chiusa, significa che dietro le rocce franate si trova la parete del canyon» fece notare Roberta.

«Non ha senso…» borbottava tra se Mirco, mentre ricontrollava la mappa.

«Forse abbiamo sbagliato, magari in quel periodo si trovavano altre crepe simili che ora non ci sono più» ipotizzò Luca

«O semplicemente questa mappa è solo cartaccia, dannazione!» sbottò il futuro antropologo.

Intanto Roberta osservava interessata, alcune delle rocce incastrate nella frana.

«Questo è veramente interessante… Non avevo mai visto nulla di simile davvero.»

«Cosa hai trovato?» le chiese Luca avvicinandosi.

«Guarda qui, riesci a vederli? Nel calcare ci sono degli strani cristalli arancioni. Sono molto piccoli, ma sembra che verso la parte incastrata con quest’altra roccia, siano più grandi» gli fece notare la ragazza.

«Almeno la fatica è valsa a qualcosa» disse Mirco avvilito, mentre iniziava la discesa.

«Devo prendere i miei attrezzi, voglio liberare questa roccia per poterla osservare con gli strumenti che ho portato.»

La discesa fu più veloce e nel giro di dieci minuti erano tornati al campo. Roberta non perse tempo e indossò la cintura sulla quale erano inseriti vari martelletti e scalpelli e ritornò a prelevare i campioni che le servivano.

Mirco seduto su una roccia stava riempiendo la sua pipa di boccioli di marijuana.

«Dai non prendertela, magari nel pomeriggio ci facciamo un giro per osservare meglio la zona» gli disse benevolo Luca, ma lui non rispose.

Doveva mandar giù un amaro boccone, sarebbe ritornato da quel viaggio con un pugno di mosche, ma forse Luca aveva ragione. Non si sarebbe arreso, avrebbe cercato ancora.

Passarono la mattina ognuno per se, il mormorio della natura e il gorgoglio di qualche ruscelletto che si gettava nei piccoli bacini d’acqua cristallini, faceva da colonna sonora a quel maestoso paesaggio. Di tanto in tanto echeggiavano nel canyon i rintocchi del martelletto usato da Roberta.

Ad un tratto un energico fischio emesso proprio dalla ragazza attirò l’attenzione degli altri. La vedevano sbracciarsi e sentivano che urlava qualcosa, ma non riuscivano a capire, fino a quando spazientita decise di ridiscendere il pendio per raggiungerli. Intanto i ragazzi le andarono incontro.

«Mirco, il percorso non si ferma!» urlava.

Non riuscivano a capire di cosa stesse parlando. Finalmente furono insieme.

«Che stai dicendo?» chiese Mirco.

«Sto dicendo che il percorso non si ferma, ho smantellato la roccia che mi serviva e quando è venuta via si è aperta una fessura dalla quale proveniva una forte corrente. Dietro la frana c’è l’ingresso di una grotta e deve essere molto grande. Non so se vada in verticale o scenda verso il basso è troppo buio e l’apertura è veramente ridotta, ma se mi date una mano riusciremo a liberare un passaggio prima di sera!» esclamò raggiante.

Una rinnovata speranza riaccese gli animi.

Radunarono tutti gli attrezzi che avevano e che potevano essergli utili, tra cui un piccone che Luca aveva portato con se, per sradicare eventuali arbusti dalla radice, ma che aveva lasciato in macchina. Nel giro di mezz’ora erano pronti ad abbattere la parete di sassi.

«Bene direi che prima di dedicarci agli scavi, dovremo mangiare qualcosa, eviteremo di fermarci. Tutti d’accordo?» propose Roberta.

Fu un pasto a dir poco veloce, tutti erano curiosi di vedere dietro la frana. Raggiunsero il posto ed iniziarono a demolire il pietrisco e la terra che teneva uniti i sassi più grandi. Lavorarono ininterrottamente per più di due ore e, finalmente alcuni sassi iniziavano a cedere.

«State indietro, provo a dare un colpo di picco e speriamo che non mi crolli tutto addosso…»

Mirco attese che gli altri si fossero allontanati e caricò un colpo che andò a infrangersi tra due sassi dove rimase incastrato.

Il ragazzo non si arrese e stanco del lavoro di disgaggio che andava così a rilento, fece leva con l’attrezzo, tra i sassi che cedettero rumorosamente cadendo verso l’interno della caverna. Uno spazio troppo piccolo per poterci passare, ma sufficiente per dare un’occhiata all’interno.

Un frullare d’ali, proveniente dall’interno li mise in allarme.

«Tranquilli ragazzi, sicuramente si tratta di una colonia di pipistrelli e se sono li, deve esserci qualche apertura dalla quale possono uscire e rientrare» li informò Alessandro.

Mirco, raccolse la torcia che aveva posato vicino ai vari attrezzi, portati su per i lavori, e si avvicinò con la testa all’apertura, indietreggiando immediatamente disgustato da un puzzo fortissimo proveniente dall’apertura.

«Non puoi farci niente, amico,» rise Alessandro, «si tratta del guano, feci e urine delle piccole creature della notte e credo che ce ne sia un bel po’.»

Mirco prese un profondo respiro e introdusse il braccio con la torcia accesa e la testa tra le pietre. L’antro si rivelò nella sua grandezza, le pareti erano molto alte, e infondo si scorgeva un cunicolo largo e alto abbastanza da poterci entrare con un caravan. Il fetore sprigionato dal guano, gli faceva lacrimare gli occhi e fu costretto a ritrarsi.

«È grande ragazzi, è veramente grande e la cosa più interessante è il fatto che sembra che continui. Nella parete opposta c’è una specie di tunnel, magari il percorso per il villaggio dei reietti è sotterraneo!» esclamò con rinnovata speranza Mirco.

Roberta prese coraggio e si avvicinò all’apertura infilò il braccio con il cellulare e iniziò a fare una serie di fotografie dell’interno, puntando la fotocamera in direzioni diverse.

«Sapevate che le proprietà acide del guano e del calcare interagiscono creando diversi tipi di minerali fosfatici?» li informò Roberta, mentre scorreva velocemente le nuove immagini sul display.

«Avanti ragazzi, cerchiamo di buttare giù qualche altra pietra, giusto lo stretto indispensabile per poterci entrare» li esortò Mirco.

«Non offenderti, ma io vorrei raccogliere qualche campione prima che faccia buio» disse Luca, con un sorriso.

«Io devo analizzare i campioni di minerale che ho trovato, ma ti farò compagnia una volta che avrai abbattuto l’ingresso.» Roberta era veramente interessata all’interno di quella caverna, forse avrebbe potuto dare una spiegazione ai minerali che aveva trovato e di cui non conosceva assolutamente niente. Poteva essere una scoperta eccezionale.

«Alessandro?»

Il ragazzo non rispose ma gli rivolse un sorriso di circostanza sollevando le spalle, anche lui aveva da lavorare e la giornata volgeva al termine, erano già le 17:00 passate e alle 18:15 sarebbe tramontato il sole.

«Va bene ragazzi, posso capire. Continuerò da solo.»

Quando si riunirono tutti intorno al bivacco, Mirco era riuscito a levare solo un’altra pietra, in orizzontale, un’apertura non sufficiente per poter penetrare all’interno.

«Allora, a che punto sei?» chiese Roberta.

«Dovrò lavorarci parecchio, ma credo che entro il pomeriggio di domani potremo entrare.»

«Ne sono contenta. Ho osservato accuratamente il minerale con il polariscopio, il rifrattometro e il dicroscopio…»

«Piano, piano! Sei cosciente che per noi stai parlando arabo, si?» la interruppe Alessandro.

«Scusate ragazzi, sono i miei strumenti per analizzare i vari minerali e questo nuovo ha delle caratteristiche eccezionali e sconosciute. Ho inviato al professore le foto e i risultati, spero mi risponda presto.»

«A quanto pare per due di noi, questo viaggio si sta rivelando ricco di piacevoli sorprese. A me e Luca non sta andando oltre alla solita routine, nessuna scoperta straordinaria» disse deluso Alessandro, mentre si accingeva a cuocere l’intruglio culinario preparato da Luca la sera prima.

«A proposito, forse tu mi puoi aiutare.» Roberta prese il cellulare cercò brevemente tra le foto scattate e lo porse ad Alessandro avvicinandosi. «Vedi qui? A me sembra un animale, forse un po’ troppo grande per essere un topo, che dici?»

Dietro ad una roccia, notò la figura sfocata di quello che poteva sembrare un coniglio in fuga. Concentrando la sua attenzione sulla testolina della bestiola, che ingrandì sul display.

«Non è possibile…» mormorò.

«Cosa?»

«No, non può essere assolutamente…» continuava Alessandro spostando l’immagine con le dita, sembra un prolago sardo!»

«E che cos’è?»

«Un mammifero, con le caratteristiche sia della lepre che del pica.»

«Prolago, pica ma che animali sono?» chiese sconcertato Luca.

«Perché ti meravigli tanto della sua presenza? Forse non è il suo habitat?» chiese Mirco.

Alessandro sollevò lo sguardo dallo schermo e li guardò uno per uno.

«Questo animale si è estinto intorno al 1800!» esclamò lasciando tutti a bocca aperta.

«A quanto pare sono l’unico sfigato…» affermò Luca amareggiato.

«Credo che entreremo in quella caverna molto prima di mezzogiorno Mirco, sono con te» disse Alessandro con un largo sorriso stampato in volto.

Le chiacchiere, quella sera, furono molto più animate della sera precedente, poi uno alla volta si ritirarono nella propria tenda.

Ancora una volta la misteriosa nebbia riempì la grotta avvolgendo e penetrando all’interno delle tende e negli orifizi della testa dei ragazzi. Riempiendo i sogni di squarci di un tempo passato, e volti sconosciuti. Danze sguaiate di personaggi sporchi e vestiti di stracci che si dimenavano intorno ad un alto fuoco. All’interno della nebbia si muoveva rapida una figura ricurva dalle sembianze umane, che come la nebbia era capace di penetrare attraverso il nylon, si accovacciò su ognuno dei ragazzi bisbigliando parole simili ai “brebus”, antiche parole magiche, di una macabra filastrocca. Col sorgere del sole la nebbia si diradò velocemente e scomparve. Nei giacigli i ragazzi aprirono gli occhi simultaneamente, ignari della visita spettrale ricevuta nella notte, ignari di aver avuto lo stesso medesimo sogno confuso e inquietante, ignari dello stesso segno che portavano sulla pelle, dono stregato di una antica entità.

Il mattino del quarto giorno il sole splendeva nel candore del canyon, il richiamo dell’aquila reale echeggiava nell’aria tiepida, chiamava il suo compagno per nutrirla.

I visi che si affacciarono dalla zip aperta, non avevano nessuna traccia dell’eccitazione per le scoperte del giorno prima, ma apparivano leggermente confusi, quasi come fossero ancora aggrappati ad un sogno che non ricordavano più. Ognuno di loro, tranne Roberta stringeva in mano uno dei quarzi che erano spariti dalla spirale. Uscirono dalle tende, mostrando ciò che avevano.

«Dobbiamo iniziare a preoccuparci?» chiese Luca, mostrando la gemma. Mirco e Alessandro fecero lo stesso, mostrando la loro.

«L’unica spiegazione plausibile è che siano stati persi da colui che li ha rubati, magari l’artefice dello scherzo dell’altro giorno è entrato a curiosare nelle nostre tende.» rifletté ad alta voce Mirco. La sua deduzione era più che plausibile e non ci diedero peso.

Dopo colazione Roberta Alessandro e Mirco, si preparavano per il completamento del disgaggio dell’ingresso della grotta, mentre Luca, ormai messo da parte, sentiva salire una forte invidia per i colleghi. Senza dire nulla si allontanò in silenzio a svolgere il suo lavoro di ricerca che a confronto con le scoperte dei colleghi, pareva inutile e senza senso.

Dopo aver recuperato gli elmetti protettivi dall’auto, raggiunsero l’ingresso della caverna. Lavorarono ininterrottamente per diverse ore, ma la previsione di Alessandro si rivelò giusta, non era ancora mezzogiorno e il passo era stato liberato. Il forte odore del guano li fece lacrimare, ma entrarono comunque per una prima perlustrazione.

Si tratta della terza parte del romanzo, ne seguiranno tante altre settimanalmente… Seguite per scoprire come andrà a finire.
Trovate l’autrice qui: Annamaria Ferrarese