Certamente vi ricorderete di Momo, una delle sfide o leggende più gettonate dello scorso anno (2019), quando eravamo passati non del tutto indenni dall’idiozia della Blue Whale, gioco pericoloso basato su sfide di difficoltà e pericolo crescente, nasceva appunto il mito di Momo.

Momo per chi lo abbia dimenticato era una creatura mostruosa partita da un gioco su whatapp che aveva come bersaglio i bambini. Di lui si diceva che andasse contattato tramite un numero di cellulare e che questo rispondesse a tutti, inviando materiale raccapricciante e sfidando i piccoli con prove sempre più assurde che potevano culminare con la morte.

Il giornalismo non è più quello dei vecchi Montanelli, Biagi o Terzani, anzi spesso attinge notizie dal web, perché più facile o perché in mano a personaggi di poco valore che proprio giornalisti non sono e così questa leggenda mise subito radici. Le redazioni abboccarono ponendo la questione ai propri lettori, trasformando la cosa in un caso reale.

In vero non è dato sapere se la leggenda sia davvero nata in Giappone ma si pensa che quanto meno l’iconografia lo sia, perché a ben guardare questo curioso essere non si può far a meno di notare la somiglianza con alcune creature tipiche della mitologia yōkai ed in particolare una Ubume, un fantasma di una donna deceduta in seguito a complicanze del parto.

E’ certo che molti, leggendo queste mie parole, sosterranno non siano vere, che Momo sia un vero gioco diffuso per uccidere delle innocenti vittime ed io non voglio accanirmi nel cercare di smentire la cosa, perché una leggenda metropolitana non ha mai fine, si evolve, muta, e continua ad essere riportata per iscritto o in forma verbale acquisendo via via più informazioni e prendendo vita propria, vivrà più di me e più di voi che leggete e forse se la racconteranno i nostri nipoti nei decenni avvenire insieme ad altre come il charlie charli challenge o il più classico slenderman.