PRESENZE

Una giornata come un’altra quella di domenica mattina, niente sveglia nessun impegno, relax totale.

L’estate, ormai alle porte, rendeva l’aria frizzante e mi sentivo piena di energie e positività. Dovevo finire la correzione del mio ultimo romanzo per la pubblicazione, ma poteva aspettare fino a lunedì.

Mi godevo la colazione sotto il gazebo, nei miei pensieri la giornata era già programmata, avrei passato la mattina in piscina e il pomeriggio a sistemare la mia collezione di “oggetti strani”, cianfrusaglie recuperate qua e la, ma con un certo carisma. Due in particolare mi attiravano, un vecchio carillon, a cui dovevo dare una ripulita, e un vecchio chiodo arrugginito lungo venti centimetri. Amo andare in giro per i mercatini a recuperare anticaglie per due soldi e quegli ultimi due oggetti avevano colpito la mia attenzione come pochi ci erano riusciti.

Un rumore di vetri infranti proveniente da dentro casa, mi distolse dai miei pensieri. Mentre andavo a controllare facevo mente locale su cosa potesse essere caduto e perché. 

La casa era in penombra, lasciavo sempre accostate le imposte nelle ore più soleggiate, per poi spalancarle una volta arrivata la sera. La prima stanza che controllai fu la cucina, ma era tutto in ordine dalla sera prima. Sentii il suono di un piccolo tonfo, provenire dal mio studio, pensai che fosse entrata la gatta a rovistare tra le mie scartoffie. Mi sporsi sull’uscio pronta a sgridarla, ma della micia non vi era traccia, mentre sul pavimento giaceva in frantumi un delizioso vasetto che avevo posato sulla scrivania insieme agli altri oggetti appena acquistati per la collezione.

Sospirai per la perdita e raccolsi i vetri, chiusi il carillon, che non ricordavo di aver aperto e per evitare altri incidenti, chiusi la porta dello studio.

Mentre mi allontanavo sentii un leggero grattare oltre il legno della porta. Possibile che non avessi visto la gatta? Incuriosita riaprii lo studio. Ma quando, per l’ennesima volta vidi che era vuoto, mi convinsi che fosse un rumore proveniente da altre fonti. Lo sguardo mi cadde sul carillon, rimasi sorpresa nel vederlo di nuovo aperto, non so se si trattasse di condizionamento per lo strano evento, ma avverti in quella stanza l’aria pesante, come se fosse stata chiusa per giorni. C’era più caldo e quando mi spostavo era come se mi muovessi in qualcosa di leggermente denso. Mi venne un brivido di inquietudine, mi voltai e uscii sbattendo la porta, senza voltarmi più. 

La mattina era passata, ma la serenità che avevo provato al mio risveglio, era svanita. Continuavo a ripensare alla sensazione che avevo provato sulla pelle, mentre mi muovevo nello studio. Mi diedi della sciocca, ma il senso di agitazione si era insinuato nella mia mente e non riuscivo a scacciarlo.

Avrei dovuto esorcizzare quella sensazione, e l’unico modo per farlo era rientrare in quell’ambiente e prendermi cura delle mie cianfrusaglie, come già avevo stabilito.

Eppure, avvicinandomi alla porta, avvertivo qualcosa di diverso. Con decisione, afferrai la maniglia ed entrai. Ignorando la sensazione di disagio, mi diressi alla finestra, spalancai le imposte, richiusi i vetri e misi in funzione il condizionatore. L’aria fresca iniziava lentamente a sostituire quella calda e soffocante che, inspiegabilmente, si era creata. La luce che inondava la stanza allontanò dalla mia mente quel sottile filo di angoscia facendomi ritrovare la calma. Mi misi a sedere alla scrivania e con un sorriso, posai il carillon sul panno morbido che avevo preparato la sera prima.

La piccola ballerina mi guardava dal suo piedistallo, con espressione vaga, le linee nere che dipingevano gli occhi erano sbiadite e delle iridi non vi era più traccia, solo due pupille stinte nell’incavo di plastica rosa, mi fissavano assenti. Le labbra che erano state di un rosso acceso, erano ormai di un rosa tenue. Utilizzai una bomboletta di aria compressa, sul meccanismo a corda e con un pennello cosparsi alcune gocce di olio. Mentre lasciavo agire il lubrificante, iniziai a spazzolare il velluto rosso che rivestiva l’interno, le piccole cerniere di ottone e la danzatrice col suo tutù di pizzo. Tutto sommato era in buone condizioni, a parte lo specchio che era intaccato da macchie grigiastre.

Quando ebbi finito caricai il meccanismo, nella speranza che il tempo e l’usura non lo avessero consumato. La melodia partì e la ballerina prese a girare, nella sua eterna piroetta, sulle note metalliche. Potevo ritenermi soddisfatta. Richiusi con cura il coperchio e lo misi da parte, ora potevo dedicarmi al chiodo. Avevo già a disposizione della carta abrasiva, la ruggine non era tanta ed ero sicura che non avesse intaccato il ferro. La cosa strana era che il chiodo non era più dove lo avevo lasciato. Ricordai il tonfo sordo che avevo sentito dopo quello di vetri infranti e mi chinai sotto la scrivania per cercarlo. Era rotolato sotto la cassettiere e ne sbucava appena, appena la testa squadrata, lo raccolsi, ma subito mi cadde dalla mano, il carillon era di nuovo aperto. Lo presi tra le mani, non aveva una chiusura a molla, dunque per quale motivo continuava ad aprirsi? Ancora una volta la sensazione di disagio si stava facendo strada, lo chiusi mettendolo sottosopra, sicura che in questo modo non si sarebbe riaperto. Mi chinai a raccogliere il chiodo che mi era sfuggito dalla mano e quando mi rialzai, quel maledetto carillon si era aperto un’altra volta. Nonostante il peso, il corpo dell’oggetto restava sospeso contro ogni legge della fisica. 

Qualcosa non andava e ne fui terrorizzata. Afferrai il computer e uscii dallo studio richiudendo la porta. Dalla cucina sentivo la musica metallica ripetersi dopo brevi pause, come se qualcuno lo stesse ascoltando, caricandolo ogni volta che ce n’era bisogno. 

Nella mia mente si affollavano mille pensieri, ma senza soluzioni. Che cosa avevo portato nella mia casa?

Non avevo altra scelta che chiedere aiuto, come l’istinto mi aveva guidato facendomi prendere il computer. 

Per le mie ricerche ero in contatto con diverse pagine e blog, riguardanti il soprannaturale, sapevo chi dovevo contattare. 

Il carillon smise di suonare, lo immaginavo in equilibrio sul coperchio, con la piccola ballerina che fissava il soffitto dello studio. Forse stavo esagerando, ma mentre stavo per riprendermi, arrivò il suono nitido della chiave che caricava il meccanismo. Aprii il computer, mentre raggiungevo la veranda, non volevo stare in casa. Entrai su Facebook e digitai spasmodicamente il nome dei Ghost Hunters sulla ricerca dei contatti, cliccai sull’icona dei messaggi, ritrovandomi difronte la barra verticale che lampeggiava in attesa delle lettere.

Anche se imbarazzata, iniziai a digitare la mia richiesta d’aiuto:

“Ciao Luca,

ho bisogno di parlarti di un fatto inquietante che mi è successo e che, purtroppo, sto ancora vivendo. Ti prego di chiamarmi, è estremamente urgente e ho paura. Cell. 3458567309.”

Mentre digitavo il numero del mio cellulare, mi ricordai di averlo lasciato sul tavolo della cucina. Varcai la portafinestra tendendo l’orecchio ai suoni della  casa, ma oltre il ronzio del frigorifero, ora regnava il silenzio. Svelta presi il telefono e riuscii nella veranda. Seduta al tavolino, fissavo nervosamente l’icona del mio destinatario, nell’attesa che leggesse il mio messaggio. Cosa avrebbe pensato? Luca era il fondatore di un gruppo di ricerca su fenomeni inspiegabili e per di più stavano nella mia città. Erano persone affidabili, niente commedie nei loro video, anzi il più delle volte era facile dare delle spiegazioni logiche ai misteri che affrontavano. Ma qui, adesso di logico non c’era proprio niente.

Cosa avrei fatto se non mi avesse risposto? Era domenica e di certo aveva  i fatti suoi da vivere. 

Non potevo stare fuori casa.

«Che diamine!» esclamai, dirigendomi sul lato del giardino che dava alla finestra dello studio.

Mi avvicinai piano cercando di mettere a fuoco l’ambiente oltre la tenda, il carillon era ancora in equilibrio, tesi l’orecchio ma all’infuori del cinguettio degli uccellini, non si udiva alcun suono. 

Decisi di filmare ciò che riuscivo a vedere, avrei mandato anche il video per testimoniare la mia esperienza. Ora scrutavo attraverso lo schermo quella stanza a me tanto cara e che ora mi era ostile. All’improvviso la sagoma di una persona si schiacciò contro la tenda, verso di me. Arretrai spaventata perdendo l’equilibrio e atterrando seduta sul prato, sollevai gli occhi alla finestra, ma la sagoma era sparita. Scappai via, ritornando davanti al computer, il messaggio non era stato ancora visualizzato. Presi coraggio e guardai il video.

La scarsa qualità del filmato rendeva quasi irriconoscibile il carillon e la sagoma che si schiacciava dietro al vetro, sembrava solo la tenda mossa dalla corrente, se non fosse che avevo chiuso la porta.

Sobbalzai quando la suoneria del cellulare iniziò a squillare e mentre leggevo il numero, che non conoscevo, vidi che il messaggio era stato letto. Le mani mi tremavano e risposi titubante. 

«Pronto?»

«Buona sera Anna, sono Luca. Che succede?»

Che succede… Come potevo spiegarmi senza essere presa per pazza?

«Temo di aver portato in casa mia, un oggetto pericoloso, Luca. Succedono cose che non riesco a spiegarmi, ho bisogno che veniate a fare un sopralluogo il più presto possibile, per favore.»

«Calmati e spiegami cosa è successo e di che oggetto si tratta.»

«Un carillon, l’ho acquistato ieri sera in una bancarella dell’usato. Fino a stamattina niente di strano, poi all’improvviso ha iniziato ad aprirsi da solo e una forza invisibile carica la corda in continuazione…», ascoltare le mie parole mi mise i brividi.

«Sarà difettoso, vedrai che c’è una spiegazione razionale.»

«Lo pensavo anche io, fino a quando non l’ho capovolto sulla scrivanie e si è aperto ugualmente, come è possibile? Sono uscita di casa e dall’esterno, nella finestra dello studio, ho visto una sagoma dietro  le tende. Lo so è pazzesco, ma non so a chi altro rivolgermi…» La mia era una supplica.

«Ok, contatto gli altri, mandami il tuo indirizzo. Ti aggiorno appena posso. Evita di entrare nella stanza, non credo sia nulla, ma stai lontana da quell’oggetto, se credi sia il motivo scatenante di tali anomalie.»

Sapere di essere compresa e appoggiata, mi diede sollievo. Se veramente un’entità legata a quell’oggetto mi avesse seguita, non le avrei dato modo di acquisire forza attingendo alla mia energia. Ma cosa potevo fare per poterla confinare?

*

Un messaggio di Luca mi avvertiva che sarebbero arrivati in tarda serata. Non potevo continuare a stare fuori, dovevo riprendere possesso della mia casa e soprattutto dovevo andare in bagno. 

Mi feci coraggio, afferrai la maniglia della portafinestra e la feci scorrere fino ad aprirla completamente. Rimasi in ascolto, ma non udii alcun rumore insolito. 

Raggiunsi il bagno e mi ci chiusi dentro. Per tutto il tempo che rimasi li, sembrava che il fenomeno si fosse esaurito. Quando uscii diedi una fugace occhiata alla porta dello studio, poi proseguii fino alla sala dove accesi la televisione. Stavo iniziando a rilassarmi quando all’improvviso la televisione si spense e immediatamente il suono del carillon mi raggiunse. Scattai in piedi, almeno questa era l’intenzione, invece continuavo a stare seduta, inchiodata alla poltrona senza potermi muovere. Nonostante i miei sforzi, comandati da un panico crescente, non riuscivo a spostarmi di un millimetro, la gola serrata emetteva solo qualche mugugno, sentii le lacrime calde scorrermi sul viso. Sprofondata nel terrore, pregavo che quel fenomeno si esaurisse al più presto, e quando fosse finito, non avrei aspettato nessuno, avrei scagliato lontano dalla mia casa quell’oggetto maledetto!

Intanto il tempo passava, nella mia mente si affollavano i ricordi della mia spensieratezza, mentre curiosavo tra le bancarelle dell’usato, sino al momento in cui avevo deciso di acquistare quel dannato carillon. Fu in quel preciso momento che ricordai l’insistenza della donna che mi incoraggiava a comprare anche il lungo chiodo arrugginito… perché lo aveva fatto?

A un tratto sentii il corpo sollevarsi dalla poltrona e in un attimo venivo scagliata sul soffitto e dinuovo ricaddi sulla poltrona, urtando con violenza il bracciolo, ma ero libera. Mi ripresi a fatica, il dolore al costato mi toglieva il fiato, piangevo e cercavo di contenere i singhiozzi. Decisa a porre fine alla malia del carillon andai verso la porta dello studio e l’aprii.

La prima cosa che mi investì fu il tanfo di putrefazione, che mi provocò un violento conato che infittì il dolore alle costole. Il fiato si condensava in una nuvola di vapore, i vetri erano coperti da un leggero strato di ghiaccio così come tutte le superfici. 

Entrai con la mano protesa pronta ad afferrare il carillon, volevo portarlo fuori, ma un’energia invisibile mi scagliò verso la parete facendomi urtare la nuca sul muro, sentivo una morsa stringermi il collo. Ancora una volta fui proiettata verso il soffitto e poi lasciata andare, caddi pesantemente di faccia urtando il naso sul pavimento, la fitta fu lancinante. 

Tra le lacrime individuai il lungo chiodo arrugginito, finito ancora una volta sotto la scrivania, lo afferrai con incredibile fatica. Appena la mia mano si strinse intorno al gelido ferro, nella mia mente si materializzò l’immagine del  carillon sotto uno strato di terra e il chiodo infilato verticalmente su di esso, la punta adagiata al coperchio era come se lo tenesse inchiodato per non aprirsi più. Vedevo l’immagine attraverso la terra, come fosse stato un formicaio sotto vetro. Cercai di alzarmi mi sentivo avvolta in una materia densa e invisibile che rallentava i miei movimenti, col chiodo stretto in mano, mi arrampicai alla scrivania. Quando fui in piedi, il carillon si rimise dritto e la musica metallica riprese la sua melodia, sentii una forza afferrarmi la testa e il collo torcersi fino a che non udii un suono sordo: il mio collo si era spezzato.

Guardavo il mio corpo giacere sul pavimento, la testa girata in modo innaturale e gli occhi sbarrati, pieni di terrore. Quando le forze mi avevano abbandonata per sempre, la mia mano si era aperta facendo cadere il chiodo sul carillon e il lungo ferro bloccava la piccola ballerina. In qualche modo ero riuscita a bloccare l’entità… ma ormai non mi importava.

Il mio spirito era libero. Avvertii in lontananza il suono del citofono, Luca era arrivato, ma il mio tempo sulla terra era finito e ora potevo finalmente tornare a casa…

Di Annamaria Ferrarese sul suo blog L’oblio della luce oscura